Controcorrente, quarant’anni dopo.
In Italia, come quarant’anni fa, esiste un filone ideologico dominante, una morale comune schiacciante che reprime le libertà fondamentali e personali di molti di noi, esiste oggi come ieri il politically correct, il buonismo misto a faziosità, misto a qualunquismo. Esiste ancora oggi l’odio indirizzato verso una parte dell’elettorato, odio che sprigiona tutta la sua violenza contro il capoccia, contro il mentore riconosciuto di quella fetta del paese e che viene bersagliato quotidianamente accampando come scusa la sua impresentabilità, ottenuta dalla demonizzazione dell’avversario, tecnica assai cara a quei nostalgici rossi col pugno perennemente chiuso ma col portafogli rigorosamente a destra. Quarant’anni fa la situazione era pressocché simile se non uguale a quella sopra descritta e infatti Indro Montanelli insieme ad altri intellettuali liberali fondarono Il Giornale con, al suo interno, una rubrica irriverente ed anarchica, nel miglior senso della parola, chiamata Controcorrente. Oggi per andare controcorrente si dev’essere spregiudicati quanto incoscienti, ed è per questo che sistematicamente mi cimento in questo progetto quotidiano.
Se mi chiedessero cosa vuol dire, per me, andare controcorrente risponderei che per farlo basta prendere dei quotidiani, leggere le notizie delle prime pagine, individuare quelle analizzate nel solito modo e, a quel punto, remare contro. Montanelli ed i suoi amici, ma come moltissime altre persone che hanno vissuto gli anni di piombo, si sentivano in dovere di remare contro la cultura dominante del tempo, rappresentata dal Pci con la sua smania di potere e violenza incorporata. Non perché fosse di tendenza fare i rivoluzionari al contrario, anzi, era discretamente pericoloso, ma piuttosto perché di fronte ad un’ideologia dilagante, che in quanto tale si tramuta inevitabilmente in azioni concrete e violente, era necessario opporvi un fronte moderato e non violento che gli desse il più possibile filo da torcere. In poche parole creare un’alternativa diametralmente opposta.
Come tutti sappiamo il Pci venne salvato da Tangentopoli grazie a dei magistrati complici e che poi sono entrati in Parlamento urlando selvaggiamente e continuamente al conflitto d’interessi. Bisognava tradurre l’impegno di Montanelli in un’azione politica. L’ardua impresa venne compiuta da Berlusconi che fondò in poco tempo un partito che raccoglieva tutti i precedenti sostenitori di Montanelli e col quale vinse le elezioni politiche del 1994. Come Montanelli venne gambizzato durante gli anni ’70, Berlusconi è stato bersagliato dai suoi storici rivali (che poi erano i soliti di Indro) che si sono avvalsi di mezzi diciamo al limite della legalità, ma solo perché gli anni di piombo erano finiti, altrimenti pure lui c’avrebbe rimesso almeno una gamba. Dopo mille battaglie che hanno visto il Cavaliere stravincere, soccombere per poi rialzarsi nuovamente, è forse tornato il tempo di ergere un muricciolo per arginare la deriva che ha trovato il suo culmine non nella sentenza del processo Mediaset ma piuttosto nel comportamento grottesco del Dottor Esposito che presiedeva la corte che ha emesso tale verdetto. In poche parole si ripresenta l’esigenza di andare controcorrente, in modo pacifico, non aggressivo ma al contempo deciso e risoluto, senza usare mezzi termini, essendo coscienti di ciò che rischiamo ma anche di ciò che è in ballo. Questo momento storico richiede un impegno di questo tipo, come gli anni ’70 chiesero a Montanelli un impegno a cui lui dette coraggiosamente ascolto.
Quarant’anni fa c’era Lotta Continua con le sue sprangate, oggi un regime giudiziario in piena regola con le sue querele, intercettazioni e processi ad orologeria. Oggi come quarant’anni fa una parte dello Stato ha un ruolo attivo in questo progetto antidemocratico che punta a far sparire l’unica persona che da vent’anni rompe le uova nel paniere alla sinistra più e meno storica, più e meno radicale ma che si rende comunque disponibile a far sparire il proprio avversario senza batterlo alle urne. Vizietto che puzza maledettamente di comunismo. E allora avanti, chi ha voglia o chi se la sente si barrichi dietro quel muretto sul quale sarà scritto a caratteri grandi e chiari “io vado controcorrente”.
Se mi chiedessero cosa vuol dire, per me, andare controcorrente risponderei che per farlo basta prendere dei quotidiani, leggere le notizie delle prime pagine, individuare quelle analizzate nel solito modo e, a quel punto, remare contro. Montanelli ed i suoi amici, ma come moltissime altre persone che hanno vissuto gli anni di piombo, si sentivano in dovere di remare contro la cultura dominante del tempo, rappresentata dal Pci con la sua smania di potere e violenza incorporata. Non perché fosse di tendenza fare i rivoluzionari al contrario, anzi, era discretamente pericoloso, ma piuttosto perché di fronte ad un’ideologia dilagante, che in quanto tale si tramuta inevitabilmente in azioni concrete e violente, era necessario opporvi un fronte moderato e non violento che gli desse il più possibile filo da torcere. In poche parole creare un’alternativa diametralmente opposta.
Come tutti sappiamo il Pci venne salvato da Tangentopoli grazie a dei magistrati complici e che poi sono entrati in Parlamento urlando selvaggiamente e continuamente al conflitto d’interessi. Bisognava tradurre l’impegno di Montanelli in un’azione politica. L’ardua impresa venne compiuta da Berlusconi che fondò in poco tempo un partito che raccoglieva tutti i precedenti sostenitori di Montanelli e col quale vinse le elezioni politiche del 1994. Come Montanelli venne gambizzato durante gli anni ’70, Berlusconi è stato bersagliato dai suoi storici rivali (che poi erano i soliti di Indro) che si sono avvalsi di mezzi diciamo al limite della legalità, ma solo perché gli anni di piombo erano finiti, altrimenti pure lui c’avrebbe rimesso almeno una gamba. Dopo mille battaglie che hanno visto il Cavaliere stravincere, soccombere per poi rialzarsi nuovamente, è forse tornato il tempo di ergere un muricciolo per arginare la deriva che ha trovato il suo culmine non nella sentenza del processo Mediaset ma piuttosto nel comportamento grottesco del Dottor Esposito che presiedeva la corte che ha emesso tale verdetto. In poche parole si ripresenta l’esigenza di andare controcorrente, in modo pacifico, non aggressivo ma al contempo deciso e risoluto, senza usare mezzi termini, essendo coscienti di ciò che rischiamo ma anche di ciò che è in ballo. Questo momento storico richiede un impegno di questo tipo, come gli anni ’70 chiesero a Montanelli un impegno a cui lui dette coraggiosamente ascolto.
Quarant’anni fa c’era Lotta Continua con le sue sprangate, oggi un regime giudiziario in piena regola con le sue querele, intercettazioni e processi ad orologeria. Oggi come quarant’anni fa una parte dello Stato ha un ruolo attivo in questo progetto antidemocratico che punta a far sparire l’unica persona che da vent’anni rompe le uova nel paniere alla sinistra più e meno storica, più e meno radicale ma che si rende comunque disponibile a far sparire il proprio avversario senza batterlo alle urne. Vizietto che puzza maledettamente di comunismo. E allora avanti, chi ha voglia o chi se la sente si barrichi dietro quel muretto sul quale sarà scritto a caratteri grandi e chiari “io vado controcorrente”.
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