La Repubblica di due pesi e due misure.
Pare che a Repubblica un 17enne omosessuale (o finocchio? Lo Zanichelli non descrive questa parole come un’offesa!) abbia inviato una lettera di protesta in cui si sfoga per tutte le ingiustizie da lui subite a cause del suo orientamento sessuale. Sono sincero, se mio figlio a 17 anni mi confessasse la sua omosessualità non la prenderei bene, poi ovviamente col tempo metabolizzerei e accetterei. E’ mio figlio, dovrei forse cacciarlo di casa per questo?! Ma l’aspetto che più mi ha infastidito di tutta quella storia è il trattamento coi guanti che Repubblica ha riservato al ragazzo, come se si trattasse di una specie in estinzione, come se abbisognasse di protezione, di tutele che già la legge gli assicura.
Tornando coi ricordi indietro nel tempo, però, non ricordo che fosse stato riservato il solito trattamento a delle altrettanto giovani ragazze che, in stato di evidente se pur non provata difficoltà, decisero di frequentare un potente italiano per ricevere doni sotto forma di tanti beni e, a loro discrezione, ricambiare con favori sessuali.
Il giornale che oggi si erge a paladino dei diritti degli indifesi, a quel tempo indossò la maschera dello spione, dell’inquisitore, del guardone e, osservando dal buco della serratura, vederono poco ma solo ciò che a loro faceva comodo. Insultarono gratuitamente le ragazze affibbiando a tutte l’epiteto “escort”, troia di alto borgo, come se loro dovessero sentirsi lusingate da quel nobile pensiero.
A quel tempo Repubblica, ma anche molti altri quotidiani italiani, passarono mesi e mesi a giudicare, e ad invogliare a fare lo stesso, le donne che varcavano la soglia di Villa San Martino ad Arcore. Non si preoccuparono magari di un loro stato di indigenza o familiare indecente, no assolutamente, sputtanarono anche all’estero i nomi di queste donne che avevano, in totale autonomia, fatto la propria scelta. Una di loro, la più famosa, Karima alias Ruby, aveva 17 anni e di lì a poco sarebbe diventata maggiorenne. La stessa condizione di precarietà emotiva raccontata dal ragazzo omosessuale che ha scritto a Repubblica, con la sola differenza che quei tromboni di giornalisti allo sbaraglio hanno usato due pesi e due misure, uno per raccogliere applausi e far commuovere un po’ chiunque, un altro per invece raccogliere fischi indirizzati a quello che per loro era un pappone, uno sfruttatore della prostituzione minorile, senza prendere minimamente in considerazione la scelta che razionalmente tutte quelle ragazze avevano fatto. Loro usavano il proprio corpo per migliorare la propria vita, grazie alle ingenti possibilità di un settantenne potente, il ragazzo omosessuale ha usato la propria vicenda personale per ottenere compiacimento e protezione da una parte ipocrita d’Italia. Dov’è la differenza?
Tornando coi ricordi indietro nel tempo, però, non ricordo che fosse stato riservato il solito trattamento a delle altrettanto giovani ragazze che, in stato di evidente se pur non provata difficoltà, decisero di frequentare un potente italiano per ricevere doni sotto forma di tanti beni e, a loro discrezione, ricambiare con favori sessuali.
Il giornale che oggi si erge a paladino dei diritti degli indifesi, a quel tempo indossò la maschera dello spione, dell’inquisitore, del guardone e, osservando dal buco della serratura, vederono poco ma solo ciò che a loro faceva comodo. Insultarono gratuitamente le ragazze affibbiando a tutte l’epiteto “escort”, troia di alto borgo, come se loro dovessero sentirsi lusingate da quel nobile pensiero.
A quel tempo Repubblica, ma anche molti altri quotidiani italiani, passarono mesi e mesi a giudicare, e ad invogliare a fare lo stesso, le donne che varcavano la soglia di Villa San Martino ad Arcore. Non si preoccuparono magari di un loro stato di indigenza o familiare indecente, no assolutamente, sputtanarono anche all’estero i nomi di queste donne che avevano, in totale autonomia, fatto la propria scelta. Una di loro, la più famosa, Karima alias Ruby, aveva 17 anni e di lì a poco sarebbe diventata maggiorenne. La stessa condizione di precarietà emotiva raccontata dal ragazzo omosessuale che ha scritto a Repubblica, con la sola differenza che quei tromboni di giornalisti allo sbaraglio hanno usato due pesi e due misure, uno per raccogliere applausi e far commuovere un po’ chiunque, un altro per invece raccogliere fischi indirizzati a quello che per loro era un pappone, uno sfruttatore della prostituzione minorile, senza prendere minimamente in considerazione la scelta che razionalmente tutte quelle ragazze avevano fatto. Loro usavano il proprio corpo per migliorare la propria vita, grazie alle ingenti possibilità di un settantenne potente, il ragazzo omosessuale ha usato la propria vicenda personale per ottenere compiacimento e protezione da una parte ipocrita d’Italia. Dov’è la differenza?
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