E' la non emendabilità del Corano che rende l'islam incompatibile
Il tempo che
stiamo vivendo è caratterizzato dal confronto (o scontro) epocale tra la nostra
civiltà liberale, laica, dalle radici cristiane, e la civiltà islamica
caratterizzata essenzialmente da forme, più o meno totalitarie, di governi
teocratici.
La questione
è semplicemente enorme e grave, viste le scie di violenza e terrore che, per un
motivo o per un altro, si lascia dietro. E continuerà a lasciarsi, se non
saremo in grado di affrontarla nella sua drammaticità. Una drammaticità dovuta
alle differenze insiste nei due modi di intendere la vita privata e la vita
collettiva. Sembra, dunque, un divario incolmabile, e molto probabilmente è
così.
L’emendabilità
dei dettami di entrambi gli ordinamenti religiosi costituisce la differenza
sostanziale tra le due civiltà, dalla quale derivano tutte le altre. La pietra
angolare dell’islam è costituita da Allah che si fa testo e si incarta nel Corano, mentre il
cristianesimo è caratterizzato dal Dio che si fa uomo e si incarna in Gesù Cristo. Questi due aspetti già portano alla luce la
ragione, il motivo principale per cui in Europa è stato possibile discostarsi
dai dettami religiosi operando una secolarizzazione che ha reso indipendente lo
Stato dalla Chiesa, distinguendo il peccato dal reato, mentre nei paesi
islamici ciò è stato, e lo è tutt’oggi, impossibile: emendare ciò che è
riportato nel Corano significherebbe mettere in discussione Allah stesso,
macchiandosi quindi del reato/peccato di eresia; nello studio della Bibbia, al
contrario, si utilizza l’esegesi, così da poter “aggirare” il significato
letterale dei testi, o addirittura annullando l’ingerenza che la sfera
religiosa ha in quella politica. Un codice penale non può regolamentare anche
l’anima dei cittadini.
Se teniamo
ben presente questa differenza fondamentale, appare chiaro il motivo per cui
nei paesi islamici sono considerati reati penali dei comportamenti che da noi,
tutt’al più, vengono descritti come peccati. Ed appare ben chiaro anche il
motivo per cui la cultura islamica è difficilmente digeribile dalla nostra: le
leggi di uno Stato laico si scontreranno sempre con quelle di un ordinamento
religioso non emendabile. È un risultato, questo, inesorabile. Come potremmo
altrimenti spiegare le seconde generazioni di immigrati islamici che, pur essendo
appunto nate in Europa, non si sono integrate e addirittura spargono terrore
effettuando attentati?
Se la
violenza in nome di Dio è contro ragione,
come disse Manuele II Paleologo, e se è ragionevole interrogarsi su Dio per
mezzo della ragione, come disse
Benedetto XVI, è evidente che questi concetti siano inconcepibili nell’islam,
dove Allah è assolutamente trascendente e non è possibile studiarlo attraverso
i nostro metodi, tra cui troviamo la sopracitata ragione. Il buon islamico può soltanto prendere atto dei contenuti
coranici, delle gesta del Profeta Maometto, della Sharia, e ottemperare nella
maniera più ampia possibile agli obblighi che ne scaturiscono.
Chiamatela
guerra, chiamatelo scontro, chiamatela ostilità, ma tenete ben presente che i
vaghi interessi economici menzionati da Jorge Bergoglio, niente hanno a che
fare con questi eventi storici. È solo questione di religione.
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