L'otto marzo è il caso di ribadire un paio di concetti estranei al pensiero unico dominante.
Si affannano quest'oggi, le donne, a strillare amenità su un loro presunto status di inferiorità impostogli dal genere maschile. In realtà, credetemi, l'Italia è sull'orlo del baratro anche a causa di coloro che oggi sfilano per strada e scioperano in nome della Festa della donna.
L'Europa, capitanata dall'Italia, è in deficit di nascite. In poche parole il numero di decessi è maggiore del numero delle nascite. Questo trend, in continua crescita, non potrà che portare, a rigor di logica, alla lenta decadenza della nostra società, sia perché non ci saranno giovani pronti a rimpiazzare gli anziani, e sia perché il sistema pensionistico (già fortemente in difficoltà) crollerà del tutto non essendoci più chi finanzierà le casse dell'Inps. Ma una sorta di magia nera, di incantesimo maledetto, ha permesso alla popolazione europea di crescere nell'ultimo anno di due milioni di unità. Ciò è dovuto alla massiccia immigrazione clandestina che stiamo subendo da ormai diversi anni, ovvero dall'inizio delle Primavere arabe.
E fin qui si tratta di numeri e statistiche: roba fredda. La questione più calda, e a mio avviso importante, riguarda invece il ventre molle dell'Occidente, che sta permettendo tutto ciò, e il ventre inesorabilmente vuoto delle donne occidentali che ormai hanno abdicato da tempo al loro ruolo principale: creare vita.
E' un dato di fatto che se le donne, ipoteticamente, facessero per anni e anni uno sciopero del sesso, opponendosi quindi anche a procreare, verrebbe meno quell'equilibrio minimo che ci garantisce lo scambio generazione che fino ad oggi ci ha permesso di tirare avanti.
Una donna non è un'incubatrice, e siamo tutti convinti che la maternità surrogata sia un'abominevole sfruttamente delle condizioni precarie di donne malmesse; ma siamo altrettanto certi che il desiderio, trasformato in diritto, di porre sullo stesso piano i due sessi e pretendendo per entrambi il solito trattamente in ogni situazione della vita, finisca per snaturalizzare quantomeno uno dei due col risultato di far crollare il precario equilibrio sopracitato. E il relativismo, cancro dei giorni d'oggi, accentua tutto questo esaltando unicamente il desiderio personalissimo di ognuno di noi, senza tener conto dell'onda d'urto da esso provocata.
Il caso di dj Fabo, che dopo un incidente grave si è recato in Svizzera per farsi aiutare a togliersi la vita, e il gran clamore che ha seguito la vicenda e rimbomba ancora in Parlamento, la dice lunga sulle priorità che la classe dirigente ha oggigiorno. Si contano ormai sulle dita di una mano coloro che combattono per l'esaltazione della vita, tentando di sconfiggere il culto della morte, mentre la restante gran parte di intellettuali e politici si affanno a proporre metodi sempre più innovativi per aiutare le persone a suicidarsi. Il che non vuol che non si debba discutere accuratamente di testamento biologico e simili, ma semplicemente che è assurda la differenza di impegno tra coloro che fanno propaganda di morte e coloro che propagandano la vita.
Il buon cristiano non approverà mai l'eutanasia: Gesù Cristo, nonostante le atroci sofferenze, si è lasciato morire in modo naturale. Il liberale vero, non i renziani nati l'altro ieri garantisti e liberali e liberisti, non chiederà mai nuovi diritti poiché questi ultimi derivano sempre da nuove leggi, sinonimo dello Stato che entra nelle vite di tutti noi: meglio chiedere libertà in più. I progressisti a casaccio, invece, andranno dietro a tutte le novità del momento, a tutte le proposte nuove e richieste di presunte minoranze: è una non-cultura.
Lo scrivente, facendo parte del secondo gruppo ovvero dei liberali convinti, pretende d'avere la (nuova) libertà di affermare che tutto questo è preludio della nostra fine, della nostra morte sia come Occidente che come singoli Stati occidentali; che il genere femminile ritroverà la tanto famosa dignità perduta proprio in quelle incombenze tradizionali che lo caratterizzano dalla notte dei tempi, compreso farsi carico di uomini rompiscatole che amano troppo o che amano male, ma che in definitva lo amano davvero.
E che, in fine, una donna non potrà definirsi tale se abdicherà al compito di essere fonte di vita, esaltando invece inutili piagnistei.
L'Europa, capitanata dall'Italia, è in deficit di nascite. In poche parole il numero di decessi è maggiore del numero delle nascite. Questo trend, in continua crescita, non potrà che portare, a rigor di logica, alla lenta decadenza della nostra società, sia perché non ci saranno giovani pronti a rimpiazzare gli anziani, e sia perché il sistema pensionistico (già fortemente in difficoltà) crollerà del tutto non essendoci più chi finanzierà le casse dell'Inps. Ma una sorta di magia nera, di incantesimo maledetto, ha permesso alla popolazione europea di crescere nell'ultimo anno di due milioni di unità. Ciò è dovuto alla massiccia immigrazione clandestina che stiamo subendo da ormai diversi anni, ovvero dall'inizio delle Primavere arabe.
E fin qui si tratta di numeri e statistiche: roba fredda. La questione più calda, e a mio avviso importante, riguarda invece il ventre molle dell'Occidente, che sta permettendo tutto ciò, e il ventre inesorabilmente vuoto delle donne occidentali che ormai hanno abdicato da tempo al loro ruolo principale: creare vita.
E' un dato di fatto che se le donne, ipoteticamente, facessero per anni e anni uno sciopero del sesso, opponendosi quindi anche a procreare, verrebbe meno quell'equilibrio minimo che ci garantisce lo scambio generazione che fino ad oggi ci ha permesso di tirare avanti.
Una donna non è un'incubatrice, e siamo tutti convinti che la maternità surrogata sia un'abominevole sfruttamente delle condizioni precarie di donne malmesse; ma siamo altrettanto certi che il desiderio, trasformato in diritto, di porre sullo stesso piano i due sessi e pretendendo per entrambi il solito trattamente in ogni situazione della vita, finisca per snaturalizzare quantomeno uno dei due col risultato di far crollare il precario equilibrio sopracitato. E il relativismo, cancro dei giorni d'oggi, accentua tutto questo esaltando unicamente il desiderio personalissimo di ognuno di noi, senza tener conto dell'onda d'urto da esso provocata.
Il caso di dj Fabo, che dopo un incidente grave si è recato in Svizzera per farsi aiutare a togliersi la vita, e il gran clamore che ha seguito la vicenda e rimbomba ancora in Parlamento, la dice lunga sulle priorità che la classe dirigente ha oggigiorno. Si contano ormai sulle dita di una mano coloro che combattono per l'esaltazione della vita, tentando di sconfiggere il culto della morte, mentre la restante gran parte di intellettuali e politici si affanno a proporre metodi sempre più innovativi per aiutare le persone a suicidarsi. Il che non vuol che non si debba discutere accuratamente di testamento biologico e simili, ma semplicemente che è assurda la differenza di impegno tra coloro che fanno propaganda di morte e coloro che propagandano la vita.
Il buon cristiano non approverà mai l'eutanasia: Gesù Cristo, nonostante le atroci sofferenze, si è lasciato morire in modo naturale. Il liberale vero, non i renziani nati l'altro ieri garantisti e liberali e liberisti, non chiederà mai nuovi diritti poiché questi ultimi derivano sempre da nuove leggi, sinonimo dello Stato che entra nelle vite di tutti noi: meglio chiedere libertà in più. I progressisti a casaccio, invece, andranno dietro a tutte le novità del momento, a tutte le proposte nuove e richieste di presunte minoranze: è una non-cultura.
Lo scrivente, facendo parte del secondo gruppo ovvero dei liberali convinti, pretende d'avere la (nuova) libertà di affermare che tutto questo è preludio della nostra fine, della nostra morte sia come Occidente che come singoli Stati occidentali; che il genere femminile ritroverà la tanto famosa dignità perduta proprio in quelle incombenze tradizionali che lo caratterizzano dalla notte dei tempi, compreso farsi carico di uomini rompiscatole che amano troppo o che amano male, ma che in definitva lo amano davvero.
E che, in fine, una donna non potrà definirsi tale se abdicherà al compito di essere fonte di vita, esaltando invece inutili piagnistei.
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