Davigo e Morosini: la magistratura manettara che fa politica
Non stupiscono le parole di Davigo, né quelle di Morosini, sulla necessità che la magistratura entri negli affari della politica. Non stupiscono perché è dall'inizio degli anni '90 che il potere giudiziario, tramite Mani Pulite, sconvolge sia quello legislativo che quello esecutivo. E tutto questo a suo piacimento, decidendo con chi usare il guanto di velluto e con chi il pugno di ferro.
Davigo, presidente dell'Anm, ha utilizzato termini forti contro l'attuale governo, nonostante non abbia nominato precisamente Renzi, affermando che tutti i governi (ergo, pure questo) hanno un'allergia alla legalità. Morosini, consigliere del Csm, riportato sul Foglio, ha fatto sapere che questo governo ci sta portando verso una sorta di dittatura, e che il referendum di ottobre sarà l'unica possibilità per scongiurare questa catastrofe. Ha insomma incitato chiunque a votare contro le riforme costituzionali che Renzi vorrebbe portare a casa. Se questa non è un'ingerenza del potere giudiziario nei confronti di quello esecutivo, non so cos'altro debba accadere per farci aprir gli occhi. Un golpe giudiziario coi magistrati al governo?
Ma Davigo è andato oltre, e parlando con Giovanni Floris a Di martedì come se fosse ad un bar, accolto da una platea di benpensanti pronti ad applaudire ad ogni battuta o rima, sulla questione della carcerazione preventiva ha affermato che non è vero che chi non parla finisce in galera, ma è vero che chi parla viene scarcerato. Ora, essendo stato Davigo compagno di merende di Di Pietro durante Tangentopoli, ed essendo quest'ultima famosa per l'enorme uso che venne fatto della carcerazione preventiva, anche su persone che alla fine dei conti risultarono candide come angioletti, non stupisce che le sue idee bolsceviche siano rimaste immutate. Non si comprende però come sia possibile che il presidente del sindacato dei magistrati (che quindi rappresenta la magistratura stessa) si presenti in tivù e sui giornali ad affermare sorridente delle cose che al massimo potrebbe raccontare allo specchio. Soprattutto se ciò avviene dopo un monologo del premier sulla barbarie giudiziaria cui assistiamo da vent'anni in Italia (p.s. caro Renzi, la barbarie l'ha subita il tuo ex amico Silvio Berlusconi, peccato che non tu abbia avuto il coraggio di nominarlo. Deludente, come sempre). Assume, dunque, l'aspetto di una offensiva nei confronti del capo dell'esecutivo e dell'esecutivo stesso. E per quanto al sottoscritto piaccia assai poco il governo del giovane fiorentino, è inammissibile un'ingerenza di questo tipo.
Per quanto riguarda il concetto di innocenza fino a prova contraria che sta alla base del nostro ordinamento giuridico, e che personaggi come Davigo calpestano quotidianamente, due parole è il caso di spenderle. Il nostro affezionatissimo ha aggiunto che tale principio è vincolante all'interno del processo, non fuori. Frase che speravo di non aver udito, soprattutto da un personaggio come il presidente dell'Anm. In parole povere significa che un condannato in primo grado (a tutti gli effetti ancora innocente) appena fuori dal tribunale potrà essere trattato come il peggiore dei delinquenti.
Questa è l'idea di giustizia giusta che hanno importanti magistrati come Davigo e Morosini. Prendere le distanze da queste follie non significa avere idee diverse dalle loro, bensì solo buonsenso.
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