L'Islam, la non-libertà e il nostro dovere di combattere.
Non ho parole per esprimere il disgusto che provo nell'apprendere, ogni santo giorno, le nuove nefandezze compiute dai figli di Allah, da quando bruciano i libri ritenuti contrari ai precetti coranici a quando lanciano dal settimo piano di un palazzo un omosessuale legato che, non morendo sul colpo, viene finito a sassate dalla folla inferocita. Già, la folla inferocita, quel terzo soggetto (il primo è composto dagli esecutori, il secondo dagli ostaggi che poi diventan vittime) che, a sentir parlare i sapientoni che tutto sanno sull'islam ma che disprezzano Oriana Fallaci, non dovrebbe esistere poiché quegli atti orribili niente hanno a che vedere con la religione di Maometto. Quella folla che in Siria è composta da belve inferocite che, evidentemente, non aspettano altro se non poter applicare la Sharia, quella fottuta legge coranica che prescrive quanto essi poi compiono, ma che qui in occidente è composta da moltissimi occidentali che ormai si sono abbandonati al modo di pensare, quindi d'agire, politicamente corretto che impedisce loro di aprir gli occhi e guardare in faccia la realtà. Siamo di fronte ad una guerra in cui noi abbiamo tutte le carte in regola per diventar la parte soccombente, perché chi la difesa della nazione dovrebbe amministrar niente fa per salvaguardare le nostre vite e la nostra civiltà che, fortunatamente, si distingue largamente da quella islamica. Viltà? Forse. Io propendo però a considerarli (i nostri governanti, si intenda) schiavi della loro faziosità, della loro ottusità, ciechi a causa dei loro paraocchi, quelli stessi paraocchi grazie ai quali hanno potuto esultare per la condanna al carcere di Sallusti, di un giornalista, quindi anteponendo la loro avversione ideologica verso l'imputato al comune senso di moderatezza che imporrebbe a chiunque d'indignarsi in casi analoghi. Mi si dirà, cosa ci incastrano i fattacci legati all'Isis con la storia giudiziaria di Sallusti? Semplice, in entrambe le situazioni (ma ne potrei menzionare a bizzeffe) una larga parte dell'opinione pubblica non ammette la gravità del fatto, si trincera dietro posizioni inadatte ma soprattutto intellettualmente disoneste e tira dritto, se ne frega, racconta balle ai propri figli indottrinandoli secondo la loro verità che però corrisponde alla esatta falsità. Quindi da chi ci aspetteremmo la prima vigorosa alzata di testa, la prima netta presa di posizione al fianco della nostra giustizia (che poi è in tutta evidenza la migliore, passatemi il termine), questi soggetti invece deludono ogni aspettativa sbattendosene e facendo i maramaldi e continuando sulla loro strada fatta d'astio e di vecchi rancori e d'insulti.
Di questo folto gruppo di incoscienti fa parte chiunque, davvero. Dal parlamentare di sinistra che si schiera sempre in difesa degli omosessuali italiani (ma non di quelli uccisi dai figli di Allah), a quello che si definisce di centrodestra e che quindi per definizione non è né carne né pesce, sta lì per la poltrona e tanti saluti alla libertà che i terroristi islamici ci fottono di giorno in giorno. Dal giornalista pseudo-intellettuale che nei suoi editoriali sul giornale progressista usa mille formule a arzigogoli per riuscire a non scrivere "terrorismo islamico" ma solo "terrorismo" (un terrorismo apolide quindi, senza patria), al vignettista dichiaratamente comunista (sembra una barzelletta) che si schiera al fianco dei martiri di Charlie Hebdo ma, anche in questo caso, non riesce ad indentificare l'origine di quegli atti, insomma non sa ammettere a sé stesso che quei barbuti non sono pazzi, piuttosto dei jhiadisti che vogliono imporre in casa nostra le loro leggi e le loro usanze. Fino ad arrivare al professore (sì, ho scritto professore) che approfitta dell'impunità di cui godono tutti i dipendenti pubblici per poter impartire le sue lezioni misticheggianti da buon imbonitore e che tendono al ridicolo. Il classico professore che si prende troppo sul serio (ma troppo poco il suo mestiere) per presentarsi in orario a scuola o per evitare di fare un numero esagerato di giorni di malattia, quegli esatti giorni di malattia che nel settore privato mai potrebbe fare, ma ha vinto la lotteria e da buon sessantottino (anagraficamente e non) se ne sbatte altamente dell'etica professionale e tira dritto per la sua strada facendo vedere a degli ignari studenti certe schifezze come Il nuovo secolo americano, perché il complottismo che rende meno noiose le sue grigie giornate da quattro ore di lavoro ognuna vuole propinarlo anche a chi, in quel senso, sarebbe ancora vergine. Tutti sverginati, quindi, da un cazzone coi capelli scarruffati e la sciarpa rossa annodata al collo, che Dio ne abbia pietà.
Tutto questo discorso per arrivar dove? A poco, a poco mi stavo perdendo pur io che sto compilando questo pezzo ma, come ho detto prima, un filo logico unisce tutto: io sto dalla parte della libertà, sempre e comunque, che essa si chiami libertà di satira, libertà d'espressione, diritto alla vita, libertà di religione e continuate pure voi all'infinito.
Dovremmo combattere l'Isis, e tutto l'Islam, non perché unti dal Signore, piuttosto perché dovremmo tutti ardentemente non voler tornare in una dimensione che, ahimé, abbiamo già vissuto in passato: la non-libertà.
Di questo folto gruppo di incoscienti fa parte chiunque, davvero. Dal parlamentare di sinistra che si schiera sempre in difesa degli omosessuali italiani (ma non di quelli uccisi dai figli di Allah), a quello che si definisce di centrodestra e che quindi per definizione non è né carne né pesce, sta lì per la poltrona e tanti saluti alla libertà che i terroristi islamici ci fottono di giorno in giorno. Dal giornalista pseudo-intellettuale che nei suoi editoriali sul giornale progressista usa mille formule a arzigogoli per riuscire a non scrivere "terrorismo islamico" ma solo "terrorismo" (un terrorismo apolide quindi, senza patria), al vignettista dichiaratamente comunista (sembra una barzelletta) che si schiera al fianco dei martiri di Charlie Hebdo ma, anche in questo caso, non riesce ad indentificare l'origine di quegli atti, insomma non sa ammettere a sé stesso che quei barbuti non sono pazzi, piuttosto dei jhiadisti che vogliono imporre in casa nostra le loro leggi e le loro usanze. Fino ad arrivare al professore (sì, ho scritto professore) che approfitta dell'impunità di cui godono tutti i dipendenti pubblici per poter impartire le sue lezioni misticheggianti da buon imbonitore e che tendono al ridicolo. Il classico professore che si prende troppo sul serio (ma troppo poco il suo mestiere) per presentarsi in orario a scuola o per evitare di fare un numero esagerato di giorni di malattia, quegli esatti giorni di malattia che nel settore privato mai potrebbe fare, ma ha vinto la lotteria e da buon sessantottino (anagraficamente e non) se ne sbatte altamente dell'etica professionale e tira dritto per la sua strada facendo vedere a degli ignari studenti certe schifezze come Il nuovo secolo americano, perché il complottismo che rende meno noiose le sue grigie giornate da quattro ore di lavoro ognuna vuole propinarlo anche a chi, in quel senso, sarebbe ancora vergine. Tutti sverginati, quindi, da un cazzone coi capelli scarruffati e la sciarpa rossa annodata al collo, che Dio ne abbia pietà.
Tutto questo discorso per arrivar dove? A poco, a poco mi stavo perdendo pur io che sto compilando questo pezzo ma, come ho detto prima, un filo logico unisce tutto: io sto dalla parte della libertà, sempre e comunque, che essa si chiami libertà di satira, libertà d'espressione, diritto alla vita, libertà di religione e continuate pure voi all'infinito.
Dovremmo combattere l'Isis, e tutto l'Islam, non perché unti dal Signore, piuttosto perché dovremmo tutti ardentemente non voler tornare in una dimensione che, ahimé, abbiamo già vissuto in passato: la non-libertà.
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