Il caso di Davide Bifolco. Un altro esempio di abuso di potere? Io non credo.
Muore un ragazzo diciassettenne a Napoli durante un inseguimento con la polizia, e nessuno credo non possa dirsi non dispiaciuto, o in un certo senso incredulo.
Perché poi diciamola tutta, il naturale dispiacere per la notizia già termina poco tempo dopo, quando al Tg danno le ultime sulla serie A e la nostra attenzione viene quindi catturata da altro.
Ma la notizia rimane, e ci saranno conseguenze piuttosto gravi e un ragazzo è morto e un carabiniere è accusato di omicidio colposo. Dobbiamo decidere da che parte stare, per quanto non sia affatto semplice e neanche obbligatorio farlo.
Ho la netta sensazione che si voglia far scoppiare un altro scandalo che vede le forze dell'ordine come carnefici di agnelli bianchi e immacolati. Ce ne sono stati di questi casi, tre almeno sono stati eclatanti, sto parlando dei casi Aldrovani, Uva e Cucchi, ma non per l'esistenza di questi grotteschi fatti possiamo oggi condannare con tranquillità quel carabiniere dipingendo il povero Davide Bifolco come una vittima dello Stato, come un martire.
La famiglia della giovane vittima ha assunto a propria difesa il legale che già si occupò dei tre casi sopra citati, e questo già mi dà da pensare, perché non so proprio con quale criterio si voglia accostare la morte di quei tre innocenti che subirono violenze inaudite, con la morte di Davide che, per quanto sia tragica, ha origini diverse e le responsabilità verranno sicuramente ripartite in maniera diversa.
Davide aveva diciassette anni e girava in piena notte su un motorino insieme ad altri due suoi amici, un latitante e un pregiudicato. Non si sono fermati ad un posto di blocco, sono scappati, hanno creduto che fosse normale essere latitanti e quindi doveroso sfuggire ai carabinieri. Io non so se quel colpo maledetto sia partito involontariamente o se l'agente abbia preso la mira e fatto fuoco, cerco d'essere razionale e di inseguire la verità logica, quindi giustizia vuole che oggi non si possa condannare nessuno. Ma non venitemi a raccontare che questo è l'ennesimo caso di abuso di potere da parte delle forze dell'ordine, perché mostrare il corpo senza vita del giovane Bifolco come venne fatto ad esempio per il povero Cucchi, è irrispettoso per quest'ultimo, per chi è realmente morto a causa di delinquenti in divisa.
Quando morì Aldrovandi (gli agenti in quel caso sono stati tutti condannati) sua madre scese in strada, sotto casa sua, con la foto ingigantita del corpo del figlio straziato dalle violenze ingiustificate degli agenti. Manifestò, non danneggiò alcunché, e oggi possiamo dire con tranquillità che lei aveva ragione quando dichiarava suo figlio una vittima, perché la sentenza di condanna nei confronti degli agenti parla chiaro.
Allo stesso modo, poco dopo la morte di Bifolco, sono scese in strada moltissime persone, familiare e non, conoscenti e amici. Sono state date alle fiamme le macchine delle forze dell'ordine, sono stati insultati gli agenti, ed è stato urlato "meglio camorristi che carabinieri". La volontà che ha spinto queste persone in strada non era quella di urlare contro una presunta ingiustizia, ma di difendere l'illegalità che in quei territori dilaga senza sosta, di far passare per normale il comportamento tenuto da quei tre sventurati ragazzi e soprattutto di far passare per normale lo stile di vita mafioso che caratterizza quelle zone. Perché per essere mafiosi non importa essere un importante boss o un assassino camorrista, bisogna anche solamente tacere per difenderli o giustificarli.
Questo tragico episodio chi o cosa credete l'abbia originato? I carabinieri in servizio quella notte o l'aria di criminalità mafiosa che si respira continuamente in quei posti?
Perché poi diciamola tutta, il naturale dispiacere per la notizia già termina poco tempo dopo, quando al Tg danno le ultime sulla serie A e la nostra attenzione viene quindi catturata da altro.
Ma la notizia rimane, e ci saranno conseguenze piuttosto gravi e un ragazzo è morto e un carabiniere è accusato di omicidio colposo. Dobbiamo decidere da che parte stare, per quanto non sia affatto semplice e neanche obbligatorio farlo.
Ho la netta sensazione che si voglia far scoppiare un altro scandalo che vede le forze dell'ordine come carnefici di agnelli bianchi e immacolati. Ce ne sono stati di questi casi, tre almeno sono stati eclatanti, sto parlando dei casi Aldrovani, Uva e Cucchi, ma non per l'esistenza di questi grotteschi fatti possiamo oggi condannare con tranquillità quel carabiniere dipingendo il povero Davide Bifolco come una vittima dello Stato, come un martire.
La famiglia della giovane vittima ha assunto a propria difesa il legale che già si occupò dei tre casi sopra citati, e questo già mi dà da pensare, perché non so proprio con quale criterio si voglia accostare la morte di quei tre innocenti che subirono violenze inaudite, con la morte di Davide che, per quanto sia tragica, ha origini diverse e le responsabilità verranno sicuramente ripartite in maniera diversa.
Davide aveva diciassette anni e girava in piena notte su un motorino insieme ad altri due suoi amici, un latitante e un pregiudicato. Non si sono fermati ad un posto di blocco, sono scappati, hanno creduto che fosse normale essere latitanti e quindi doveroso sfuggire ai carabinieri. Io non so se quel colpo maledetto sia partito involontariamente o se l'agente abbia preso la mira e fatto fuoco, cerco d'essere razionale e di inseguire la verità logica, quindi giustizia vuole che oggi non si possa condannare nessuno. Ma non venitemi a raccontare che questo è l'ennesimo caso di abuso di potere da parte delle forze dell'ordine, perché mostrare il corpo senza vita del giovane Bifolco come venne fatto ad esempio per il povero Cucchi, è irrispettoso per quest'ultimo, per chi è realmente morto a causa di delinquenti in divisa.
Quando morì Aldrovandi (gli agenti in quel caso sono stati tutti condannati) sua madre scese in strada, sotto casa sua, con la foto ingigantita del corpo del figlio straziato dalle violenze ingiustificate degli agenti. Manifestò, non danneggiò alcunché, e oggi possiamo dire con tranquillità che lei aveva ragione quando dichiarava suo figlio una vittima, perché la sentenza di condanna nei confronti degli agenti parla chiaro.
Allo stesso modo, poco dopo la morte di Bifolco, sono scese in strada moltissime persone, familiare e non, conoscenti e amici. Sono state date alle fiamme le macchine delle forze dell'ordine, sono stati insultati gli agenti, ed è stato urlato "meglio camorristi che carabinieri". La volontà che ha spinto queste persone in strada non era quella di urlare contro una presunta ingiustizia, ma di difendere l'illegalità che in quei territori dilaga senza sosta, di far passare per normale il comportamento tenuto da quei tre sventurati ragazzi e soprattutto di far passare per normale lo stile di vita mafioso che caratterizza quelle zone. Perché per essere mafiosi non importa essere un importante boss o un assassino camorrista, bisogna anche solamente tacere per difenderli o giustificarli.
Questo tragico episodio chi o cosa credete l'abbia originato? I carabinieri in servizio quella notte o l'aria di criminalità mafiosa che si respira continuamente in quei posti?
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