Venti chilometri di passione-Capitolo 22
È il 15 marzo ed è passato da un
mese esatto il mio compleanno, un anno o poco più dalla storia che vi ho appena
raccontato. Mi ha fatto talmente tanto male riscrivere di quei momenti intensi
e profondamente tristi che non so quanti giorni ho dovuto far passare prima di
riaprire il “file 1”
sul desktop, rileggerlo brevemente e riconcentrarmi per riportare a galla gli
eventi successivi.
Non sto ascoltando ancora Dalla e
De Gregori, sto ascoltando una canzone del film “Midnight in Paris”, un pezzo
jazz. Questo film l’ho visto la prima volta con Giulia a casa mia al mare,
sdraiati nel letto dei miei e con la testa appoggiata sul cuscino a sua volta
appoggiato alla testata del letto. Pian piano il cuscino cala e ti ritrovi con
il collo piegato e dolorante.
Quante volte l’ho stretta a me in
quel letto, tra le lenzuola bianche coi fiori marroni e arancio o tra quelle
rosse con strisce blu, ricoperti dalla coperta polverosa che i miei lasciano
sul letto tutto l’inverno e che noi con noncuranza utilizziamo come se fosse
stata appena lavata, forse perché è ormai pregna di quell’odore di salsedine e
di mare che in pochi altri oggetti riesco a trovare e quindi che resti così, io
certo non chiederò che venga lavata.
È il 15 marzo 2014 e tra circa un
mese è Pasqua, come la seconda volta in cui vidi la mia bambola e lei mi salutò
timidamente sorridendomi e coprendosi leggermente i lati del viso con quei suoi
capelli lunghi e castani.
Aveva un gonna lunga la seconda volta in cui la vidi
e un giacchetto corto e scuro.
L’anno scorso per Pasqua andai al
mare con Lorenzo, e Giulia era già lì a casa sua con Beatrice ad aspettarmi.
La
situazione si era calmata, io soprattutto mi ero calmato ed ero meno disperato
ed ero più razionale e tranquillo, sapevo quindi di doverla lasciar perdere per
qualche tempo ed infatti una volta arrivati a Pietrasanta e saliti a casa sua lei
mi fece sedere su uno degli sgabelli che ha in cucina e mi diede un bacio.
Puzzavo di birra perché durante il viaggio, non guidando, mi ero aperto un paio
di Ceres ma a quanto pare a Giulia poco importò poiché la voglia di sentirmi
vicino e abbracciarmi prevalse su tutto.
Salutai la Piera e Umberto, loro
uscirono per andare in centro e io e Lorenzo aspettammo che Gigiù e la Beba si preparassero. Tra
l’altro se non ricordo male ci preparammo pure un paio di Vodka lemon in casa,
perché lì gli alcolici non mancano mai.
I preparativi andarono per le
lunghe ed uscimmo che era già buio, andammo all’Almarosa al Forte a fare
l’aperitivo e poi di gran carriera a casa mia. Lorenzo durante il tragitto
tamponò Giulia, la macchina di Lorenzo si distrusse il parafango anteriore
mentre l’altra non si fece neanche un’ammaccatura e io quanto me la risi!
Cenammo in un locale in Darsena,
una saloon vero e proprio dove già io e Giulia eravamo stati. Bevemmo ancora,
prendemmo un fusto di birra da non so quanti litri ma tanto guidava Giulia e
lei beve poco o niente. Litigai furiosamente con Lorenzo durante la cena come
spesso succede tra l’altro, mi pare sull’essere cattolico praticante ed
ovviamente l’alcool aumentò gli effetti di tutto ciò e finimmo per urlare come
due scemi nel mezzo del locale.
Concludemmo la discussione con un paio di rutti
fantastici tipo Fantozzi quando va a Courmayeur con la signorina Silvani e
Calboni.
Andammo al Seven ovviamente,
avevo dei pantaloni strappati sulle ginocchia, un maglione di lana blu con
sopra una giacca leggera. Avevo anche un paio di bretelle blu attaccate ai
pantaloni e lasciate ciondoloni, bellissime, mi fanno impazzire se indossate in
quel modo.
Tre litri di vodka non bastarono,
infatti andammo a fare anche un paio di giri al bancone e finalmente alle
cinque del mattino tornammo tutti a casa.
Io e Giulia dormimmo in camera
dei miei e lasciammo che Lorenzo e Beatrice si gestissero da soli, per quanto
Lorenzo fosse veramente ubriaco perso.
Non facemmo l’amore, le parlai a
lungo, le ridissi cose che già sapeva ma che temevo si fosse scordata, le
confidai quanto mi piacesse l’idea di avere un paio di bimbi con lei e di
chiamarli Tommaso e Matilde come per altro avevamo già pensato di fare e poi le
dissi che l’amavo non come il primo periodo insieme ma bensì molto di più.
Le parlavo tenendo la mia testa
poggiata sulla sua pancia calda e morbida, guardandola negli occhi per qualche
secondo finendo poi per appoggiarmi su una guancia per stare più comodo e
parlare meglio.
In quella zona del suo corpo un giorno ci sarà
un bimbo, chissà se sarà il mio, lo spero davvero tanto perché tutt’ora non
riesco ad immaginare il mio futuro insieme ad una donna che non sia la mia
bambola.
La sento mia, vorrei stringerla a me da mattina a sera e ripeterle
quelle stesse cose fino a non avere più fiato in corpo, perché so di essere
quello giusto per lei e so quanto ancora posso darle, per quanto debba
ammettere di non averle dato in passato tutto ciò che si meritava. Spero con
tutto il cuore di potere rimediare.
E questa canzone mi sta aiutando
molto, è sempre la solita, chissà fino a quando l’ascolterò.
La mattina seguente ci salutammo
alle Focette, Giulia e Beatrice tornarono a Pietrasanta, io e Lorenzo a
Pistoia.
Andai da mia nonna Loriana dove mi aspettava
il mega pranzo pasquale, sulla falsa riga di quello natalizio, una vera orgia
di cibo e vini. Mi sedetti a tavola e mi vibrò il cellulare nella tasca, era un
messaggio di Giulia che diceva così: Ti amo, mi sei mancato. Mi si riempirono
gli occhi di lacrime ma le trattenni, evidentemente sono un tipo molto emotivo
ma, come ho detto in precedenza, non deve esser visto come un difetto.
Era tornata la mia Giulia.
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