Venti chilometri di passione - Capitolo 4
Pietrasanta è un paese piccolo, fatto su misura per me e per Giulia.
Inizialmente ero assai scettico riguardo la bellezza di questo posto, poi col tempo me ne sono letteralmente innamorato.
Pietrasanta è una località marittima impeccabile in estate ma allo stesso tempo anche dove si può svernare per l’intera stagione fredda, e vi assicuro che anche in inverno è presente la stessa quantità di persone dell’estate.
La famiglia di Giulia ha un appartamento leggermente fuori dal centro, ma comunque a circa due minuti di cammino, ma neanche forse. È una palazzina di tre piani, Giulia abita al secondo. È piena di calore casa sua Se ci entri in inverno dopo averla lasciata disabitata per mesi, appena apri la porta ti accoglie quella sensazione che riescono a dare le abitazioni arredate con cura, senza pacchianeria, quegli arredi tipici del posto, tutta una serie di oggetti e soprammobili che ti rimangono fissi nella mente.
C’è un piccolo ingresso, sulla sinistra due camere da letto coi rispettivi bagni e sulla destra cucina e salotto.
Estremamente confortevole e con tutto a portata di mano. È questo il bello delle case piccole: sei in una stanza ma è come se abitassi nel solito momento in tutta la casa, e quella di Giulia amplifica questa sensazione grazie a delle finestre molto grandi che, se non serrate, ti offrono la vista su Via Oberdan e sul parcheggio, altrettanto piccolo, che sta di fianco la palazzina.
Ha le pareti dipinte di bianco, di un grigio più chiaro e di un grigio più scuro.
Il parquet è presente ovunque tranne, ovviamente, in cucina, dove la mamma di Giulia tiene un piccolo elettrodomestico che adoro. È una sorta di aspirapolvere in miniatura che funziona a pile. Dopo i pasti mi diletto nel raccogliere le briciole sul tavolo con quell’attrezzo, meritandomi poi i complimenti dei presenti per il lavoro ben svolto.
Il salotto ha un divano rosso, una poltrona rossa e un mobile con sopra la tv e una mensola strana. Sembra una specie di alveare. Ci tengono appoggiata una foto molto bella che ritrae Giulia abbracciata ai suoi genitori sulla spiaggia.
Ultimamente hanno fatto mettere dietro il divano, attaccato alla parete, uno specchio enorme che conferisce molta profondità alla stanza. Sopra il mobile con la tv hanno fissato al muro un quadro raffigurante La Capannina invasa da molte fate. Giulia le chiama fatine. La Capannina, oltre ad essere un locale notturno, è un simbolo storico della Versilia.
La camera della Giulia è essenziale quanto deliziosa. È provvista di letto, di scrivania, di mensole e di armadio. Caspita, si può dire, è ciò che c’è in tutte le camere, ma non tutte sono contornate da oggetti ricolmi di significato come quelli nella sua cameretta. Ci sono dei libri che lei lascia sempre lì e che rispolvera ogni estate, c’è un porta penne bianco che non svuota mai, un cappello Panama tenuto sulla mensola sopra il letto con di fianco una foto di due ragazze prese di spalle. Sono lei e la sua miglior amica, Beatrice, la ragazza di cui ho parlato precedentemente. L’anno scorso si privò di uno di questi oggettini per darlo a me. È una candela raffigurante due Dalmata de “La carica dei 101”.
Non so che dirvi, purtroppo come ho già detto, io sto raccontando di sensazioni e sentimenti, quindi di qualcosa di astratto e questo è un grosso limite che incontro nel tentare di far capire, a chi voglio io, il significato di tutto ciò che è attinente alla Versilia e che riguarda me e Giulia.
Suppongo però che ognuno di noi provi sentimenti simili però riguardanti altri posti, in un certo modo quindi tutti possono andare oltre le mie parole.
Pietrasanta è una città d’arte e nobile, è piena di mostre di qualsiasi tipo, dai quadri alle sculture, piccole ed enormi, fatte con la pietra o con delle pasticche colorate.
È altresì piena di ristoranti , più o meno eleganti e costosi. Io e Giulia ne abbiamo girati diversi e, se io all’inizio storcevo il naso a causa della mia intramontabile pigrizia, dopo un po’ non vedevo l’ora che lei me ne proponesse uno nuovo da testare.
Mi è rimasto in mente quel ristorante col proprietario sordo, che sbaglia ordinazione almeno una volta. Quello con il proprietario fascistoide, sempre pronto a cantarle al cliente di turno che esageri con le lamentele, che ne so, per un comprensibile ritardo nel portare i piatti ordinati. Quello con il proprietario che si tinge il lungo pizzetto di blu. Quello col proprietario scorbutico e antipatico, ma che offre pietanze ottime, ed in questo locale Giulia mi scattò una foto molto bella mentre ero a tavolo ed avevo le mani incrociate davanti alla bocca.
Pietrasanta ha, sopra di sé, delle lunghe mura, un po’ sciupate ma comunque alte e fiere.
Sembra che siano state costruite non tanto per difenderla da eventuali disturbi, ma piuttosto per non fare scappar via il calore che quel paese racchiude in sé, una sorta di preziosità da preservare e da concedere solo a chi spunti la voglia di visitare una cittadina minuscola che, in effetti, al primo colpo d’occhio non sembra avere niente di speciale. È invece l’esatto contrario.
Spesso chiedo a Giulia “quante volte saremo passati di qua? Quante volte ci saremo messi seduti su quella panchina?”, lei mi guarda annuendo e mi accorgo che pensava la stessa cosa.
Il ritardo che lei porta ogni volta che la vado a prendere mi è vitale, in quanto posso restare cinque minuti solo ad aspettarla in quel parcheggino di fianco casa sua, che si vede perfettamente dalla finestra della cucina. Così fumo una sigaretta, attraverso i vetri delle finestre la guardo passare indaffarata nel raccogliere le ultime cose da portarsi dietro, e nuovamente mi domando “quante volte l’ho aspettata qui e quanto questa attesa significa per noi?”, per due persone che si vedono una volta ogni due o tre settimane. Aspettare che esca per me significa iniziare ancora una volta, significa avercela fatta e significa averla ancora accanto.
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