"Le mie idee, uno schermo e una tastiera sono per me come i capelli di Sansone. Privatemene e diventerò indifeso".

Roberto Saviano, il nientologo che si erge a maestro di vita

, by Yoga

Saviano non è un simbolo, perché il nulla non simboleggia alcunché. Saviano è fine a sé stesso, è il tormentone di ogni estate che tutti ascoltano ma che nessuno balla tanto è inascoltabile, banale, profondamente retorico e melenso. È una mela cotta che può essere ben voluta solo da chi pensa che i talk televisivi siano una vera piattaforma di informazione, chi pensa che Mamma Rai sia un servizio pubblico e non uno scatolone al servizio perenne dell’indignazione e del perbenismo di sinistra. Saviano è costruito su misura per quella parte civilissima dello strapaese Italia, attentissima alle cose futili, che due o tre volte a settimana ha bisogno di sentirsi parte di una grande lotta ai grandi problemi esistenziali, sempre onestissima e dalla parte del bene inequivocabile, inattaccabile, come è l’antimafia o l’umanitarismo degli umanitaristi di origine-non-governativa, Ong appunto. Saviano, detto ‘o scrittore, è buono per le visite nelle scuole medie e superiore, nelle aule magne colme di studentelli sfaccendati che vogliono applaudire ad un eroe della società civile, indotti a questa soporifera idiozia dagli insegnanti pubblici ammaestrati e appiattiti su posizioni perbeniste e de’ sinistra. Potremmo scriverci sopra un romanzo, intitolandolo “Le lingue di legno”, perché è proprio quel genere di costante correttezza politica che caratterizza Saviano e i suoi seguaci, i filantropi, gli intellettuali impegnati, i giornalisti salottieri, sempre buoni, supereroi minacciati dalle mafie e dai politici cattivi di destra, proprio come pare stia accadendo all’autore del romanzo Gomorra, tanto per tornare alla cronaca giornaliera.

Salvini ha detto l’indicibile, seguendo le orme del senatore verdiniano D’Anna: ha fatto capire che Saviano gli sta sulle palle e che la sua scorta è un fantasma utile solo ad impaurire chiunque avrebbe voglia di controbattere ai suoi sproloqui dandogli il fatto suo. Ha la scorta da undici anni; ce l’ha da quando ne ha ventisei; ha scritto Gomorra; non può più prendere un gelato in santa pace; forse non può neanche più farsi una scopata in santa pace; è un attivista, è il primo attivista dell’antimafia; oggi, addirittura, si riscopre umanitarista, amante del fratello nero; mentalità aperta e sguardo verso il futuro: legalizzazione delle droghe leggere. In un paese dei Palasharp, di Repubblica e delle inchieste giornalistiche fatte con gli agenti provocatori (vedi Fanpage), in un paese come l’Italia insomma, cosa volete di più per partorire l’eroe popolare inattaccabile, il Batman che non ha la vita facile, che si sobbarca tutti i cazzi di tutto il mondo, che non ha da dire un tubo ma lo dice con una serietà da far vomitare, sempre grigio, sempre cupo, occhiaie, minacciato, combattente per la libertà, sentite che roba, una specie di canzonetta di Jovanotti.

Ma poi l’aspetto più grottesco della vicenda è l’immensa e immeritata serietà che viene conferita, come medaglia al valore, ad ogni sua uscita, ad ogni suo video, ad ogni sua esternazione. Ha parlato giorni fa d’economia e di debito pubblico: ha rifilato una sequela di stronzate degna di un cabarettista. I cinque miliardi che verranno spesi per la gestione dell’immigrazione sembrano inesistenti, a sentir lui, perché non verranno conteggiati nel rapporto tra debito e pil. Ecco, siccome ha la scorta e non può prendere il gelato in santa pace, nessuno ha avuto l’ardire di dirgli che farebbe bene ad imparare a scriver libri senza scopiazzare evitando di cimentarsi in attività che non gli competono: quei cinque miliardi sono altro debito che, un minuto dopo, tutti noi italiani ci troveremo a pagare, a sostenere, in aggiunta all’altra montagna di debito che da decenni si sta accumulando senza sosta. Saviano scrisse anni fa dei Casalesi, che, per inciso, se si son fatti intimorire da questo personaggio allora siamo davvero di fronte alla mafia stilizzata, e da allora sa praticamente un po’ tutto e di tutti. E usa i termini giusti, quelli suadenti: cita la Costituzione, cita il razzismo, cita la sua lotta contro i cattivi del mondo, dalla camorra ai narcos messicani (pure loro, evidentemente, tanto sfigati da filarselo), difende sempre gli ultimi, e sembra andato a scuola da Gino Strada.
Altro fenomeno di questo secolo, altro accattone di consensi e di applausi, imbronciato, fintamente preoccupato, pacifista quando sarebbe necessario menar le mani e antirazzista mentre stiamo morendo di filantropia. Da lontano, da altri mondi, o’ scrittore tuona contro di noi e racconta in dei video di un paio di minuti che la Lega deve rendere i soldi rubati, che ad un comizio di Salvini c’erano degli ‘ndranghetisti e che, per scavare nel passato recente, nelle liste di De Luca c’è gomorra. Lo Stato è sempre distante dalla lotta alla mafia, dunque i politici sono tutti vicini a quegli ambienti, vien da dedurre. E lui prosegue indisturbato senza specificare quale Stato, quale governo, quali soldi, quali comizi e, soprattutto, cosa diavolo voglia dalla vita di tutti noi. Che già è poco sopportabile da sé, già la trasciniamo avanti armati della leggerezza utile per non suicidarci. Ma possiamo dirlo che ci siamo stancati di questo censore della coscienza collettiva? Possiamo dirlo che Gomorra è un romanzo illeggibile e che Sciascia, a differenza sua, tra gli uomini, i mezzuomini, gli ominicchi, i piglianculo e i quaquaraquà fa veramente parte della prima categoria? C’è bisogno di un’iniziativa comune e sentita, sincera e seria, non perbenista e non ipocrita, utilizzando i toni giustamente duri ma non professorali, per dire con voce univoca: basta Saviano!

Lorenzo Zuppini


Il Primato Nazionale - 23 giugno 2018

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