"Le mie idee, uno schermo e una tastiera sono per me come i capelli di Sansone. Privatemene e diventerò indifeso".

La democrazia nei partiti: pura demagogia.

, by Yoga

Si parla molto della democrazia all'interno dei partiti. Sì o no? Se sì, quanta? Il dialogo in un partito è un valore aggiunto o un problema? Se prendiamo per buona la prima ipotesi, quanto dialogo è giusto pretendere?
Ogni partito ha il suo leader, colui che lo rappresenta meglio in quel preciso momento storico, colui da cui non si può prescindere, perché eletto tramite primarie o perché ne è il padre fondatore. Prendiamo Forza Italia, o il vecchio Pdl. E' storia nota di come l'allora co-fondatore del Popolo della libertà, Gianfranco Fini, se ne andò sbattendo la porta e accusando il Cav di essere un capo autoritario, a tratti dittatoriale. Ma chi portava la maggioranza dei voti al partito? Chi era il leader del maggior partito della coalizione? In poche parole, a chi andava il merito per il posto di primaria importanza che il Pdl aveva in Italia? A parer vostro è più costruttivo battere i piedi in terra e frignare, o piuttosto chinare alle volte la testa mantenendo però voce in capitolo? Fini propese per la prima opzione, e la fine sua e del suo partito parlano chiaro. Casini, in passato, prese la stessa dissennata decisione, condannando così il suo partito a vivacchiare con percentuali irrisorie. Politicanti da strapazzo, dico io.
La situazione attuale del Pd somiglia molto a quella di Forza Italia. Nel primo abbiamo il leader che è anche premier. La prima carica l'ha ottenuta tramite primarie, la seconda tramite giochi di palazzo. Ergo, all'interno del suo partito è giusto che detti legge e che gli altri chinino il capo, a Palazzo Chigi è tutt'altra storia invece. Non essendo stato unto dal voto popolare, il Renzi dovrebbe cercare il maggior consenso possibile anziché far approvare leggi da un Parlamento incostituzionale a colpi di decreti legge. Difficilmente le sue due cariche, ottenute appunto il modo diverso, sono conciliabili. Infatti la sua permanenza a capo dell'esecutivo è una contraddizione perpetua. Elezioni politiche, consiglio io.
In Forza Italia assistiamo continuamente ad un paradosso: dei piccoli politici, che della politica fanno la propria professione, remano contro il grande capo e quindi contro il partito intero solo per ottenere della visibilità. Faccio riferimento al Fitto di turno, che fa sapere ai giornilisti di mezzo mondo che le cose in Forza Italia non vanno affatto bene e che così non si può andare avanti. L'indecisione e le faide all'interno di un partito sono le prime cause della perdita di consenso, quindi uno come Fitto è meglio perderlo che trovarlo. Che crei un suo partito e sfidi lealmente i suoi avversari, incalzo io.
Il conflitto che si è consumato nella Lega tra Salvini e Tosi è la copia di quanto sta accadendo tra Berlusconi e Fitto, con una macroscopica differenza: Berlusconi è da vent'anni meno duro coi suoi traditori rispetto a Salvini che si sta ancora facendo un nome. Un punto al giovane segretario leghista, è così che si salvaguardia il proprio partito da chi non sa guardar oltre la punta del proprio naso.
Inutile riempirsi ogni volta la bocca della parola "democrazia". Di grande capo ce ne dev'essere uno, tutti gli altri portino rispetto e prendano esempio.
Ché i voti si ottengono proponendo, non litigando.

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