Venti chilometri di passione-Capitolo 20
Quell’anno riuscimmo ad
organizzare un capodanno migliore dell’anno prima, ovvero decidemmo di andare a
casa in montagna di un’amica di Giulia che già io avevo conosciuto l’anno prima
al mare. Si chiama Francesca, ha gli occhi scuri, le ciglia che gli conferiscono
molta profondità e il viso pulito, con pochissimo trucco. Io portai con me
Lorenzo, con Giulia e Francesca c’erano altre quattro loro amiche, due delle
quali già conoscevo.
Il 30 dicembre partimmo io e
Lorenzo con la macchina di mio padre alle 7 in punto, faceva un freddo cane a quell’ora
ed eravamo carichi di bagagli come se avessimo dovuto star fuori per settimane.
Andammo a Pietrasanta a prendere Giulia e poi di gran carriera in Piemonte, a
Santa Maria Maggiore. Arrivammo perfino un’ora prima della padrona di casa ed
appena arrivò andammo a consumare un ottimo pranzo in paese.
Iniziammo a bere un po’ troppo
presto forse, ed infatti quella giornata e quella sera furono molto
movimentate.
Il giorno dopo io con Lorenzo e
Francesca andammo a sciare una mezza giornata, ed io fui quello che si divertì
meno in quanto a metà di una pista mi si ruppe lo sci destro e quindi finii in
anticipo, per fortuna gli altri due avventurieri ebbero pietà e non mi
abbandonarono per troppo tempo.
Pranzammo ad un rifugio,
mangiammo riso con salsiccia e uova e bevemmo del vino, molto vino.
Alle 4 di pomeriggio inziò a fare
buio e allora tornammo in paese per fare un giretto tra le vetrine illuminate
per quelle strade estremamente curate con la neve ordinatamente accatastata sui
bordi. Ricordo che una via del centro aveva la stessa pavimentazione che ha
casa mia alle Focette, mi sentii ancora più contento d’esser lì.
Le strade ordinate e
ordinatamente addobbate per Natale mi mettono di buon umore e se ci unisci
anche un po’ di vino, un bel po’ di vino, trovi la persona più contenta di
sempre.
È già passato più di un anno da
quei due giorni perfetti passati con la persona perfetta, è sera e sto
ascoltando Piazza grande cantata da
Dalla e De Gregori. Malinconia e stupore per questi due… credo che non sarà una
bella serata, ma almeno così posso sbatacchiare ciò che mi tormenta e mi
lusinga la mente su di un foglio, anzi schermo, e magari ne diminuirà il
tragico effetto… Rubo l’amore in piazza
grande!
Quando tornai con Lorenzo e
Francesca a casa di quest’ultima trovai Giulia con le altre sue amiche chine
sul tavolo di cucina intente nello studiare delle carte, suppongo, riguardanti
un esame imminente che avrebbero sostenuto al nostro ritorno. Al nostro brutto
e stupido ritorno alla vita normale, quel maledetto momento in cui ti senti
depresso come un bambino e ti viene da fare lo scontroso con chiunque, apparte
le nonne per quel che mi riguarda.
Giulia aveva i capelli
disordinati e raccolti sulla nuca con un elastico mal messo, e aveva un felpa e
un paio di miei pantaloni di tuta della Fruit of the loom, l’unico paio che non
le stessero esageratamente larghi. Era riuscita a studiare tutto il pomeriggio
e quando ci penso mi viene da assumere un’espressione incredula e divertita, se
poi penso allo scarsissimo impegno che metto io nei miei studi, invece mi sento
terribilmente in colpa.
Adesso sto ascoltando Canzone cantata sempre da Dalla e De
Gregori, in uno di quei loro concerti chiamati Work in progress… la serata sta
davvero prendendo una brutta piega. Stare
lontano da lei non si vive, e stare senza di lei mi uccide.
Bevemmo ancora, soprattutto io e
Lorenzo ed iniziammo la cena.
Ero talmente ubriaco che passai la serata a
maniche corte con quindici gradi in casa. Per un periodo della cena io e lui
pasteggiammo con long drinks che ci preparavamo sul momento, suscitando lo
stupore e il disgusto di quasi tutti, poiché Giulia disapprovava e basta, a
certe cose si era abituata.
E Giulia cucinò molto e bene, e
devo dire che pure lei aveva bevuto un po’, ma non troppo.
A mezzanotte quando iniziò il
contro alla rovescia e noi maschi ci armammo di fuochi d’artificio dovevamo
ancora iniziare a consumare il secondo, infatti finimmo la cena verso l’una e
mezzo del mattino.
Contravvenendo alle disposizioni
della padrona di casa io mi fumai a tavola anche un paio di sigarette, o come
le chiamano loro milanesi un paio di sizze.
Perché il loro accento fa venire
in mente una persona raffinata e spocchiosa? Forse perché si pensa che lassù
siano tutti così e quindi si associa il loro modo di parlare con queste due
caratteristiche… a modo mio, quel che
sono l’ho voluto io!
Terminammo i festeggiamenti in un
piccolo disco pub del posto, litigammo ferocemente con dei ragazzi ma poi, non
so come, tornammo a casa incolumi e felici ed ubriachi.
Dormimmo nel divano letto in
salotto io, Lorenzo e Giulia, mentre la sera prima ci dormii solo con lei. Ad
un certo punto sentimmo un pauroso craaack
e scoprimmo che quella specie di letto non era fatto per sostenere tre persone,
quindi io e Lorenzo dormimmo per terra in un sacco a pelo e lasciammo in pace
Giulia nella parte del letto rimasta intatta. Fu una decisione cavalleresca ma
avventata, visto che la mattina dopo mi sorbii i seicento chilometri per
tornare a casa.
Portammo Giulia a Pietrasanta dai
suoi genitori, salimmo in casa e la
Piera mi diede il loro regalo e io gli diedi il mio. Loro mi
regalarono un plaid enorme bianco e rosso e con disegni natalizi, me ne
innamorai. Io gli regalai un libro di cucina specializzato in piatti toscani,
accompagnato da un biglietto. Ci scrissi: con
la speranza che questa “ventata” di toscano porti solo del bene, vi auguro un
buon Natale e un felice anno nuovo. Un abbraccio, Lorenzo.
Se ci penso adesso mi commuovo, e
non so perché, e le canzoni che mi stanno accompagnando in questa tragicomica
serata non aiutano affatto.
Io mi sono affezionato fin troppo
a Piera e ad Umberto, davvero troppo.
Dopo questi divertenti e
romantici e familiari eventi arrivammo immediatamente al mio compleanno, dopo
che io ebbi sostenuto tre esami e Giulia anche di più.
Ci vedemmo ovviamente dopo la
data precisa della mia festa, e passammo due giorni indimenticabili a casa sua
a Pietrasanta, non da me alle Focette. Pochi chilometri di distanza tra le due,
situate nel solito magnifico ed immenso ed intramontabile posto ma, al
contempo, per me una differenza abissale. Ho già spiegato cosa sia per me la
casa alle Focette e come Pietrasanta abbia invaso il mio cuore, ed infatti quel
piccolo appartamento, perfetto nella sua semplicità ed impeccabile nel suo
ordine, per me è un nido.
Facemmo, in quei due giorni, almeno due volte la
spesa, e Giulia comprò la verdura non al supermercato ma dal fruttivendolo
sotto casa sua, e in poche volte come in quelle ho desiderato veramente con
tutto me stesso che il nostro amore potesse durare per sempre e che quelle
stesse situazioni potessi viverle per altri tanti e tanti anni, magari
accompagnato da dei figli, magari una bambina perfetta come Giulia e un
maschietto scapestrato com’ero io da piccolo.
Dormimmo nel suo letto, poiché se
ne può estrarre uno dal sotto così da formare un assai precario letto
matrimoniale che poi però si divide durante la notte lasciando in mezzo a sé
una sciagurata apertura larga non più di quindici centimetri.
Facevamo colazione a letto o
davanti alla tivù, e poi pranzavamo e Giulia imitava delle ricette di Julia
Child, la protagonista di quel fantastico film intitolato Julie e Julia con la spettacolare Maryl Streep.
Il secondo giorno organizzò in casa una caccia
al tesoro per farmi trovare dei piccoli regali che componevano l’intero regalo
per il mio compleanno. Ridevo durante il gioco e Giulia non resisteva dal darmi
consigli così da poter vedere la mia faccia compiaciuta e soddisfatta. Alla
fine mi fece trovare un foglio con incollata sopra l’intervista ad una donna
politica che io apprezzo molto, e sull’altro lato del foglio Giulia ci scrisse
l’”Attestato di partecipazione alla caccia al tesoro”.
Eravamo seduti al tavolo di
cucina, io a capotavola e lei alla mia destra. Lessi quello scritto,
l’inconfondibile scrittura rotondeggiante della mia bambola e mi sciolsi in un
pianto, profondo e liberatorio. Ne avevo bisogno, perché in due giorni Giulia è
capace di viaggiare a giri così alti da farti rimanere senza fiato, quasi
inespressivo e l’unico modo immediato e diretto che hai per farle capire che ha
fatto centro un’altra volta è piangere.
Le misi la mia testa tra il collo
e la spalla, come sempre d’altronde, e lei mi strinse a sé.
Senza muscoli ma con una forza
disumana.
Dio quanto l’amavo.
0 commenti:
Posta un commento