Venti chilometri di passione-Capitolo13
Quasi sempre arrivo al mare
sabato dopo pranzo, solo qualche volta prima. Il sabato pranziamo tutti, ovvero
noi e i miei zii, dalla nonna Loriana.
È esattamente un rito. Bello,
piacevole e abbondante sotto tutti i punti di vista. Pranzi faronici che
impegnano mia nonna moltissimo ma che non le restituiscono tutto l’impegno
messo nella preparazione. Colpa nostra, siamo sempre noi a non darle le dovute
attenzioni.
Attorno le 15 e 30 sono a
Pietrasanta, sotto casa di Giulia, e mi fermo nel piccolo parcheggio lì di
fianco.
“Sono giù, scendi?”
“Dammi cinque minuti e arrivo,
ciao.”
“Ok, ciao”
Non mi pesa mai aspettare quei
cinque minuti. In altre circostanze mi innervosisco e mi domando perché uno non
possa rispettare l’orario pattuito. In questo caso invece ho tempo per fumare
una sigaretta, sgranchirmi le gambe e guardare il paesino dal basso verso
l’alto. Si perché se rivolgo lo sguardo verso Pietrasanta la vedo crescere fino
alle sue mura, mal ridotte ma affascinanti, come se racchiudessero qualcosa di
speciale, che non può andare perduto per nessuna ragione al mondo. Poi mi volto
e vedo Giulia che cammina verso di me. Il trucco sul suo viso è perfetto, ha i
capelli sciolti e piastrati. È vestita di scuro, tonalità che le sta
decisamente bene addosso. In bilico sulla sua spalla sinistra c’è la sua borsa
da viaggio. È come se ci avessero appiccicato un quadro sopra. Particolare,
come Giulia del resto.
“Ciao”, mi da un bacio.
Ricambio senza salutarla.
“Come stai?” le chiedo.
“Bene, e tu?”
“Adesso meglio!”.
Montiamo in macchina e ce ne andiamo
verso le Focette.
Ho solo voglia di stringerla, di
spogliarla, di farla mia. Mi è mancata così tanto che adesso vorrei passare un
giorno intero incollato a lei. Mentre guido lei mi stringe la mano destra e
così, quando devo cambiare marcia, è come se lei mi aiutasse a farlo. Quando mi
lascia la mano allora sono io che gliela metto sulla gamba sinistra. Ce la
struscio forte come se dovessi riscaldarla. Mi racconta di qualche episodio
buffo o strano capitato a lei all’università. Mi racconta anche di qualche
battuta che suo padre le ha fatto qualche giorno prima. Io rido e le dico che
mi è mancata. Lei sorride.
Arrivati a destinazione,
parcheggio la macchina davanti casa e prendo la mia e la sua borsa. Non credo
d’essere mai arrivato al mare di inverno e di aver trovato la strada asciutta.
Piove quasi sempre da quelle parti in quella stagione. Il mio giardino infatti
è un tappeto di aghi di pino. L’erba è alta e brutta.
Che effetto che fa quella casa di
inverno!
Ci passo così tanto tempo
d’estate che, quando ci vado durante il resto dell’anno, rimango sempre
sbigottito nel vederla sola, quasi abbandonata. Tutta la gente che conosciamo e
che d’estate anima quella zona adesso non c’è, è in città.
I miei vicini di Bergamo non ci
sono. La famiglia che stava davanti a noi ormai è quasi sparita. I nonni morti
di vecchiaia e il loro figlio deceduto a causa di un incidente in auto.
La casa è fredda. Talmente fredda
che si condensa il fiato.
Accendo la luce, il gas, il
riscaldamento e l’acqua. La camera dei miei è la più fredda e quella che si
riscalda più lentamente.
Guardo il copri letto, lo tocco,
lo sento polveroso e mi viene in mente un pezzetto di Buonanotte fiorellino di De Gregori, “la coperta è gelata e
l’estate è finita, buonanotte, questa notte è per te”.
Molliamo armi e bagagli e
usciamo, così da dare modo alla casa di riscaldarsi. Andiamo a Forte dei Marmi
a fare un giretto. Giulia spesso aspettava di venire al mare per comprarsi
qualche vestito o un paio di scarpe.
Una volta la accompagnai al Forte
in un negozio per un paio di stivali. Mi annoiavo e distrattamente le davo il
mio parere su quelle calzature.
“E’ abbastanza scocciato” fa
Giulia alla commessa sorridendo.
“Ma gli uomini sono fatti per
questo. Dovete accompagnarci nei negozi” risponde ironicamente la commessa
“E voi siete fatte solo per
sperperare soldi in vestiti” ricambio io a tono.
Silenzio di tomba con Giulia che
mi guarda assai male.
Sotto Natale Forte dei Marmi è
molto bella. Oddio, è bella sempre, a parte la spocchia che contraddistingue
chi ci abita.
Ci sono mille luci, tutti i
negozi in centro hanno addobbato le vetrine rendendole favolose. Ho accanto
Giulia con un cappello di lana incredibilmente carino. È giallo e lei ha il
viso sommerso dall’enorme sciarpa che si è messa attorno al collo. Spuntano gli
occhi. Le dico che sembra uno gnometto e lei allora nasconde anche gli occhi
sotto la sciarpa.
Mangiamo qualcosa di caldo che
fanno in alcune bancarelle poste ai margini della strada principale. Giulia si
ferma a curiosare in una bancarella di bigiotteria ma non compra niente.
Una volta, anziché stare in
centro a Forte, andammo sul pontile. Era freddo da morire e Giulia tremava. È
una di quelle situazioni in cui temi che una folata di vento te la porti via.
Vengo avvicinato da un signore distinto.
“Scusi, mi sa dire che ore sono?”
mi chiede questo sconosciuto
“Si certo. Sono le otto e mezzo”
rispondo sicuro io. A questo tizio prende un colpo.
“Davvero?!” mi incalza lui
“Ah no scusi, sono le diciotto e
trenta”. Avevo letto solo l’ultimo numero delle ore, così stavo per far venire
un attacco di panico ad un povero innocente. Giulia, appena quest’uomo si
allontanò, si mise a ridere fragorosamente.
Andammo a vedere il mare. Era
scuro e faceva paura. Sinceramente se un cagnolino fosse caduto in mare in quel
momento, non sarei stato io a salvarlo. Tra i miei problemi di vertigini e le
onde alte, col cavolo che mi sarei buttato.
Dopo un po’ ci accorgiamo che è
quasi ora di cena. A me non dispiace cenare in casa. Neanche fuori, ma sto
sempre volentieri in casa a cena con lei. Vedendoci di rado però rimaniamo in
casa solo se abbiamo da preparare qualcosa di strano e divertente, come quando
preparammo i tacos o la pizza. Altrimenti Giulia si incarica di fissare in un
posto a Pietrasanta. Andiamo sempre lì perché ce ne sono un’infinità, davvero
moltissimi. Così torniamo a casa, ci accorgiamo che è ancora freddissima, ci
cambiamo e ripartiamo verso l’interno della Versilia.
Mentre camminiamo per il centro
del paese diretti al ristorante, ho sempre l’impressione che tutti i passanti
ci guardino. Credo si compiacciano nel vedere una bella coppia come siamo noi.
Al ristorante Giulia è molto
fine, educata e lenta nel consumare il pasto, come dovremmo essere tutti per
altro.
Si mette sempre i capelli davanti
la spalla destra, così che le si scopra il collo e si lasci intravedere il
colletto della camicia di seta bianca che si è appena comprata. È graziosa e
posata.
Mi richiama sempre se mentre
mangio faccio un verso con la bocca o se divoro il cibo troppo velocemente.
In quel momento non riesco a non
immaginarla coi suoi figli, magari i nostri futuri figli, mentre li sgrida
sotto voce.
Dopo cena è d’obbligo un giretto
a Pietrasanta. La conosciamo a memoria ma non possiamo non avere voglia di girare
per la piazza del Duomo, di vedere “il matto di Pietrasanta” fare le mega bolle
di sapone e di rimanere stupiti stando in quel posto prettamente estivo ma che
ti fa sentire a casa pure d’inverno.
Torniamo alle Focette, entriamo
in casa e guardiamo col portatile di Giulia il film che avevamo pattuito di
vedere. Lei a metà film si addormenta appoggiata al mio braccio. Io finisco di
guardare il film e mi sdraio abbracciandola.
“Buonanotte. Ti amo” le sussurro
all’orecchio.
“’Notte amore” risponde lei.
Mi stringe la mano e si
addormenta.
La mattina facciamo colazione.
Siamo tristi entrambi perché
dobbiamo ripartire. Io devo tornare a Pistoia e lei a Casorate.
La accompagno a casa sua a
Pietrasanta, un’altra volta.
Mi fermo nuovamente nel piccolo
parcheggio di fianco casa sua.
Scendiamo e io la stringo a me.
Sono a pezzi ma anche fiero di quel che sto facendo. È impegnativo e sfibrante
mantenere un rapporto con quella distanza di mezzo.
Mi bacia e si avvia verso il
cancello di casa.
Ha la sua borsa di Paul Smith
appoggiata sulla spalla destra e le deve provocare dolore.
Sua mamma si affaccia alla
finestra e mi manda un bacio.
La saluto e monto in macchina.
Rallento davanti al cancello
perché Giulia è lì ad aspettarmi.
C’è la strada e il finestrino della
macchina di mezzo, ma le mando un bacio e lei lo prende.
Ci vediamo tra tre settimane
Giugiù.
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