Venti chilometri di passione - Capitolo 6
Quell’estate fu bella sotto ogni punto di vista.
Io e Giulia potemmo vivere quel periodo a stretto contatto senza alcuna preoccupazione tra i piedi, ovvero gli impegni scolastici che avevano caratterizzato l’estate precedente e quelli universitari che avrebbero caratterizzato quella successiva. Sapevamo d’aver raggiunto un risultato scolastico soddisfacente, lei sicuramente più di me, e quindi di avere una sorta di diritto di poter fare bellamente ciò che ritenevamo più opportuno.
L’amavo molto e desideravo di tenerla sempre con me, eppure il mio istinto pigro o casalingo, spesso e volentieri, ci ha portati a litigare in quanto io preferivo rimanere un giorno intero svaccato sotto la tenda numero due, anziché magari chiederle cosa volesse fare, uscire dalla spiaggia per portarla da qualche parte. Insomma fare qualcosa di nuovo ed inaspettato.
L’estate della maturità venne prolungata anche dal viaggio che facemmo insieme a fine Agosto, ovvero un Interrail. La curiosità verso quel tipo di avventura ce l’ho sempre avuta, ma poi come tante altre volte fu Giulia a dare la spinta decisiva affinché intraprendessimo insieme e senza indugio quello che sarebbe stato un dolce collante per la nostra coppia.
La mamma di Giulia quell’estate ci prestò per tre volte la sua macchina, una Chrysler cabrio. È potente e divertente, infatti la usavamo la sera per stare sul lungomare quando non avevamo programmi particolari, specialmente durante la settimana.
La guidai solo io, in quanto Giulia doveva aspettare tre anni, dal rilascio della sua patente, per poter guidare macchine con un rapporto peso-potenza superiore ad una cifra che non conosco assolutamente.
La prima volta in cui prendemmo questa macchina si partì dal piccolo parcheggio di fianco casa di Giulia, facemmo mezzo chilometro ed io entrai subito nel panico perché non sapevo come distanziare maggiormente il mio sedile dal volante. Accostai e Giulia risolse.
La seconda e la terza marcia ti mandavano la testa indietro se spingevi l’acceleratore un tantino di troppo, in fine con la quarta e la quinta sentivi le gomme della macchina che si attaccavano all’asfalto e se lo portavano via.
Una sera con la cabrio andammo fino alla Darsena per vedere un mega yatch ormeggiato lì vicino. Ricordo come se fosse ora i capelli di Giulia scomposti dal vento e la sua mano destra che ci passava sopra, portandoseli dietro le orecchie con le dita. Tenevo d’occhio la strada ed anche lei, pieno d’amore e di desiderio.
Tra le altre cose che mi fanno venire il groppo alla gola ci sono dei cartelli stradali in Versilia messi in qua e in là su strade leggermente interne. Portano scritto “MARE”, con la freccia che indica da un lato, così da indicarti quale strada imboccare per arrivare sulla costa.
In quel posto io non mai avuto bisogno di questi cartelli. Non so se sia istinto, abitudine o altro, fatto sta che io da che mi ricordi sono sempre riuscito ad arrivare sulla spiaggia partendo da una zona interna. Non so, prendo e vado dritto, o se sono su una parallela del lungo mare me ne accorgo e allora so di dover girare verso il mare appena possibile.
Ridico “mare”, non sinistra o destra, ma “mare”.
Sorrido e mi sembra d’essere un segugio.
Io e Giulia potemmo vivere quel periodo a stretto contatto senza alcuna preoccupazione tra i piedi, ovvero gli impegni scolastici che avevano caratterizzato l’estate precedente e quelli universitari che avrebbero caratterizzato quella successiva. Sapevamo d’aver raggiunto un risultato scolastico soddisfacente, lei sicuramente più di me, e quindi di avere una sorta di diritto di poter fare bellamente ciò che ritenevamo più opportuno.
L’amavo molto e desideravo di tenerla sempre con me, eppure il mio istinto pigro o casalingo, spesso e volentieri, ci ha portati a litigare in quanto io preferivo rimanere un giorno intero svaccato sotto la tenda numero due, anziché magari chiederle cosa volesse fare, uscire dalla spiaggia per portarla da qualche parte. Insomma fare qualcosa di nuovo ed inaspettato.
L’estate della maturità venne prolungata anche dal viaggio che facemmo insieme a fine Agosto, ovvero un Interrail. La curiosità verso quel tipo di avventura ce l’ho sempre avuta, ma poi come tante altre volte fu Giulia a dare la spinta decisiva affinché intraprendessimo insieme e senza indugio quello che sarebbe stato un dolce collante per la nostra coppia.
La mamma di Giulia quell’estate ci prestò per tre volte la sua macchina, una Chrysler cabrio. È potente e divertente, infatti la usavamo la sera per stare sul lungomare quando non avevamo programmi particolari, specialmente durante la settimana.
La guidai solo io, in quanto Giulia doveva aspettare tre anni, dal rilascio della sua patente, per poter guidare macchine con un rapporto peso-potenza superiore ad una cifra che non conosco assolutamente.
La prima volta in cui prendemmo questa macchina si partì dal piccolo parcheggio di fianco casa di Giulia, facemmo mezzo chilometro ed io entrai subito nel panico perché non sapevo come distanziare maggiormente il mio sedile dal volante. Accostai e Giulia risolse.
La seconda e la terza marcia ti mandavano la testa indietro se spingevi l’acceleratore un tantino di troppo, in fine con la quarta e la quinta sentivi le gomme della macchina che si attaccavano all’asfalto e se lo portavano via.
Una sera con la cabrio andammo fino alla Darsena per vedere un mega yatch ormeggiato lì vicino. Ricordo come se fosse ora i capelli di Giulia scomposti dal vento e la sua mano destra che ci passava sopra, portandoseli dietro le orecchie con le dita. Tenevo d’occhio la strada ed anche lei, pieno d’amore e di desiderio.
Tra le altre cose che mi fanno venire il groppo alla gola ci sono dei cartelli stradali in Versilia messi in qua e in là su strade leggermente interne. Portano scritto “MARE”, con la freccia che indica da un lato, così da indicarti quale strada imboccare per arrivare sulla costa.
In quel posto io non mai avuto bisogno di questi cartelli. Non so se sia istinto, abitudine o altro, fatto sta che io da che mi ricordi sono sempre riuscito ad arrivare sulla spiaggia partendo da una zona interna. Non so, prendo e vado dritto, o se sono su una parallela del lungo mare me ne accorgo e allora so di dover girare verso il mare appena possibile.
Ridico “mare”, non sinistra o destra, ma “mare”.
Sorrido e mi sembra d’essere un segugio.
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