Venti chilometri di passione - Capitolo 1
Prefazione.
Ci sono momenti nella vita in cui ti rendi conto che qualcosa ti sta sfuggendo di mano.
Momenti in cui non vale più riprovarci, in cui l'unica cosa che puoi fare è accettare la sconfitta.
Ci
sono momenti in cui un luogo ti conosce meglio di chiunque altro,
angoli hanno raccolto le tue lacrime, spigoli ti hanno fatto male.
Ci sono amori che arrivano all'improvviso, ti attraversano, ti stravolgono e se ne vanno.
Ti
aiutano a capire che hai bisogno della tua metà anche se questo vuol
dire soffrire e tu sei pronto, lì, fermo ma con la tempesta dentro.
Aspetti.
Quegli occhi azzurri velati dai pensieri, quel tempo che si incastra nei sogni come le dita che accarezzano i capelli di lei, quella sensazione opprimente che ti attanaglia quando le parole non riescono a rendere giustizia a quello che veramente provi.
Quegli occhi azzurri velati dai pensieri, quel tempo che si incastra nei sogni come le dita che accarezzano i capelli di lei, quella sensazione opprimente che ti attanaglia quando le parole non riescono a rendere giustizia a quello che veramente provi.
Ci sono momenti che non arriveranno mai, anche se ti sembra di averli già vissuti.
Perchè lo speri, speri sempre di poter tornare indietro ma l'attimo in cui potevi è passato.
Allora
ti ritrovi, perso e spezzato. In una spiaggia, tra quattro mura, su un
treno, sotto le coperte o in un parcheggio, magari.
E
aspetti ancora, aspetti che quel dolore sordo se ne vada, ti lasci
andare avanti, si stacchi da te con la forza di un coltello che strappa
via la corteccia di un albero troppo vecchio per essere immune al
dolore.
Aspetti che il suo
profumo vada via da te, aspetti che il suo ricordo si affievolisca,
aspetti che le lacrime si trasformino in sorriso.
Ti ritrovi, lì, nel luogo che ha visto tutto, che c'era come un amico silenzioso.
Si
respira un’aria
magica nei ricordi di un bambino che è cresciuto nella libertà e
freschezza di quel posto, di quella Versilia che sa di spensieratezza,
di canottiere a righe bianche e blu lasciate sulla sabbia e di persiane
spalancate ogni estate; che ha il sapore dolce dell'acqua che lava via
la salsedine dalla tua pelle e il gusto sfacciato della maionese che
cola via dal tuo pranzo sulla spiaggia.
Di
quella Versilia da cui ti stacchi con gli occhi gonfi di lacrime e che
non vedi l'ora di riabbracciare lasciandoti alle spalle ogni pensiero.
E' a quel punto che diventa parte integrante del tuo mondo, è lì che quel luogo diventa te.
Quel luogo che nei suoi venti chilometri ti ha visto cambiare, crescere, perderti e perderla.
Tutto in quei venti chilometri.
Un amore.
Una fine.
Un nuovo inizio, per te.
C.
A Giulia, che ha aperto un mondo già presente in me ma ancora in buona parte inesplorato, e che condivide sempre con il sottoscritto ogni brivido che la Versilia le fa venire.
Frequentavo la quarta superiore quell’anno, quindi dopo pochi giorni riniziai ad andare a scuola, le rotture di scatole e i pensieri presero il sopravvento e di Giulia per un po’ di tempo non seppi più niente, se non che si rifece viva lei, dicendomi che ci saremmo rivisti nel solito locale per la consueta serata della vigilia di Pasqua che è usanza passare al mare.
La ragazza che mi sta di fianco da oltre due anni l’ho conosciuta nel posto che amo di più al mondo. Coincidenza? Di regola direi di si, ma a questo giro sono scettico a riguardo.
Il pomeriggio in cui seppi del debito ottenuto a matematica ero solo a casa a Pistoia, i miei erano in vacanza in Sardegna ed io non volli andare pensando di godermi la casa libera, il solito stupido programma che si ripropone nella mia mente ogni volta che rimango solo a casa per più giorni. Ad ogni modo sospettavo fortemente che mi avrebbero rimandato in quella materia, ma fino a quel momento mi imposi di cacciare quel triste pensiero dalla mia testa, cosicchè la notizia mi presa totalmente alla sprovvista e ne rimasi colpito.
Devo dir la verità, stare solo con lei in casa mi andava più che bene, difatti ci andai spesso senza peraltro incontrare la contrarietà dei miei genitori.
Nei primi giorni tutto procedette normalmente, dopo un po’ però la gelosia e la possessività più grezza che in me risiedevano iniziarono a reclamare a gran voce il suo ritorno, ed inevitabilmente nacquero litigi di poco conto ma che evidenziavano lo stato di irrequietezza della mia anima in quel periodo.
Non ho mai visto il professor Chietti in maglietta a maniche corte, nonostante l’afa che regnava sia fuori che dentro casa sua. Indossava sempre una camicia con le maniche arricciate che a me ricordava molto quelle che nei film portano le guide dei safari in Africa. Pantalone colorato e scarpa da passeggio. Occhio, né elegante né da ginnastica ma tipo da trekking basse, proprio da persona che ha il mondo intero nel cuore e che ha bisogno di calzature comode e pratiche anche per girare per casa.
Due giorni dopo i miei tornarono a Pistoia e mi chiesero di tornare.
Un nuovo inizio, per te.
C.
A Giulia, che ha aperto un mondo già presente in me ma ancora in buona parte inesplorato, e che condivide sempre con il sottoscritto ogni brivido che la Versilia le fa venire.
Ai miei genitori.
A Piera ed Umberto.
Capitolo 1
In Versilia ho conosciuto Giulia.
Era da pochi minuti passato il 2010, festeggiavo infatti quel capodanno insieme
a delle sue amiche al Seven Apple, ignaro del fatto che di lì a poco l’avrei
conosciuta totalmente per caso.
Queste sue amiche hanno casa a Tonfano,
non avevano idea di come passare quell’ultimo dell’anno e quindi, grazie ad
amici miei che le conoscevano abbastanza ma non molto, abbiamo organizzato
all’ultimo minuto il cenone a casa loro e la successiva serata in discoteca per
terminare i festeggiamenti.
Fu una cena arrangiata ma
piacevole e passata con coetanei alla mano e disposti a far conoscenza in poco
tempo, così da togliersi subito dai piedi il naturale imbarazzo.
Consumammo della pizza non molto calda e
bevemmo a volontà, stappammo le ultime bottiglie allo scoccare della mezzanotte
e poi, lasciando l’abitazione in condizioni non perfette, andammo verso questo
locale dove avevamo fissato di concludere la serata.
Non ricordo assolutamente l’ora
in cui entrò Giulia, con una sua amica di sempre, al tavolo che avevamo
fissato, ma sarà stata notte fonda, non prima quindi delle due del mattino.
Arrivò, mi presentai e poi, incoraggiato e aiutato dal mio evidente stato di
ebbrezza, le strappai un bacio. Lei, inizialmente titubante, acconsentì e
ricambiò.
I bagordi finirono ed io, coi
miei amici, andai a dormire qualche ora a casa mia, che si trova nelle
vicinanze di quel posto.
Frequentavo la quarta superiore quell’anno, quindi dopo pochi giorni riniziai ad andare a scuola, le rotture di scatole e i pensieri presero il sopravvento e di Giulia per un po’ di tempo non seppi più niente, se non che si rifece viva lei, dicendomi che ci saremmo rivisti nel solito locale per la consueta serata della vigilia di Pasqua che è usanza passare al mare.
Rimasi interdetto ricordo, sia
perché non ricordavo un granché del nostro primo ed unico incontro e sia perché
non ero sicuro di essermi comportato in modo, non dico impeccabile, ma almeno
decente durante la serata dell’ultimo dell’anno.
La ragazza che mi sta di fianco da oltre due anni l’ho conosciuta nel posto che amo di più al mondo. Coincidenza? Di regola direi di si, ma a questo giro sono scettico a riguardo.
Devo ringraziare la provvidenza,
Dio o con quale altro nome lo si voglia chiamare, le sue amiche che la
invitarono ad unirsi a noi nei festeggiamenti, oppure devo prendere atto di ciò
che successe e ciò che quell’incontro ha prodotto sulla mia vita come Lorenzo e
sull’altra mia come Lorenzo che sta con Giulia? Non so, razionalmente tendo a
prendere per buona la seconda ipotesi, ma in cuor mio preferisco pensare che ci
fosse qualcosa di scritto, che quest’incontro dovesse esserci. Mi concedo
questo lusso solo quando sono solo e penso tra me e me, perché se qualcuno mi
sentisse mi prenderebbe per un adolescente alle prese con la fidanzatina di
turno, il che mi dispiacerebbe molto dato il valore che sto dando a tutto ciò.
Mi vidi con Giulia a Pasqua,
un’altra volta, qualche settimana dopo, all’apertura estiva della stessa
discoteca e poi a casa sua, il 2 Giugno.
Furono momenti intensi ma un po’
falsificati da parole dal grande significato spese con troppa facilità. Non che
non fosse presente un forte sentimento, ma sicuramente parlare d’amore risultò
affrettato, soprattutto da parte mia.
Io quell’anno venni rimandato in matematica, e
anche Giulia prese il debito nella stessa materia.
Il pomeriggio in cui seppi del debito ottenuto a matematica ero solo a casa a Pistoia, i miei erano in vacanza in Sardegna ed io non volli andare pensando di godermi la casa libera, il solito stupido programma che si ripropone nella mia mente ogni volta che rimango solo a casa per più giorni. Ad ogni modo sospettavo fortemente che mi avrebbero rimandato in quella materia, ma fino a quel momento mi imposi di cacciare quel triste pensiero dalla mia testa, cosicchè la notizia mi presa totalmente alla sprovvista e ne rimasi colpito.
Nello stesso momento in cui mi
arrivò la notizia via sms, stavo chattando con Giulia su Facebook e lei aveva
da pochi attimi pubblicato sul social network “Sempre e per sempre”, deliziosa
e amabile canzone di Francesco De Gregori, con su sopra scritta una breve parte
del testo: pioggia e sole cambiano la faccia alle persone. Per me, in quel
momento, la burrasca era rappresentata dalla sciagurata notizia scolastica, e
le dolci parole che Giulia mi scrisse per confortarmi presero il posto del
sole, che asciugò brevemente il mio morale zuppo d’acqua.
Giuro che le mie non sono frasi
fatte, ma in quel momento ricordo perfettamente d’aver capito molto su di lei e
di aver previsto cosa sarebbe accaduto tra me e lei nei mesi successivi.
Quell’estate infatti segnò
l’inizio di tutto e vide Giulia mettere anima e corpo in quella sorta di
progetto che ci riguardava entrambi. Al contrario io ero più schivo, meno
partecipe e più passivo nel prendere quello che Giulia, con santa pazienza,
creava amabilmente per noi due, come se non mi interessasse molto, come se
volessi dare un contentino a lei, ma la verità era un’altra e risiedeva in
fondo al mio cuore. A Luglio lei era sola a casa sua a Pietrasanta, mentre mia
madre si era già insediata in casa nostra con le mie sorelle. Quindi molto
spesso Giulia mi invitava a passare un paio di giorni infrasettimanali con lei,
soli in casa, magari portandomi dietro il materiale scolastico dato che
entrambi dovevamo studiare per il debito estivo, per di più della solita materia.
Devo dir la verità, stare solo con lei in casa mi andava più che bene, difatti ci andai spesso senza peraltro incontrare la contrarietà dei miei genitori.
Il problema in me nasceva quando
uscivamo dalle mura domestiche perché a quel punto, un po’ per istinto e un po’
per partito preso, sentivo la necessità di affermare la mia indipendenza barra
virilità con comportamenti del tutti idioti e infantili: non farmi sentire,
aspettare che prendesse lei l’iniziativa di contattarmi. Ovviamente tutta
questa mia manfrina cadeva come un castello di sabbia ogni qual volta, soli in
casa, la guardavo negli occhi e le dicevo cosa sentivo dentro di me senza, tra
l’altro, riuscire a decifrare bene quei messaggi che mi partivano dal profondo
dell’anima.
L’amavo già, ne sono certo, ma
per me, almeno i primi tempi, provare quel sentimento era come guardare un film
in inglese: la maggior parte dei dialoghi mi rimanevano estranei.
Sono sicuro che Giulia si era
accorta di questo mio problema ma anche del sincero amore che provavo per lei,
ad esempio, grazie a quella volta in cui lei ad Agosto andò una settimana in Spagna per un meeting del
Parlamento Europeo Giovani, del quale fa parte, ed io rimasi al mare.
Nei primi giorni tutto procedette normalmente, dopo un po’ però la gelosia e la possessività più grezza che in me risiedevano iniziarono a reclamare a gran voce il suo ritorno, ed inevitabilmente nacquero litigi di poco conto ma che evidenziavano lo stato di irrequietezza della mia anima in quel periodo.
Quell’estate volò con una
velocità pazzesca, anche e sicuramente per via degli impegni che avevo a causa
del debito in matematica che mi costringeva a fare avanti e indietro dal mare a
Pistoia per poter seguire le lezioni di ripetizione per prepararmi all’esame di
settembre.
Per tutto il mese di luglio
andavo e tornavo dal mare sempre con sottobraccio i libri di matematica e il
mio trolley, abbastanza piccolo ma comunque adatto a contenere vestiti per un
soggiorno che non durava mai più di qualche giorno. Raramente rimanevo al mare
per cinque giorni consecutivi.
Seguivo a Pistoia le lezioni di
matematica del professor Chietti, un cinquantenne in pensione dalla scuola che
ha deciso di insegnare privatamente a casa sua. Era, ed è un grande, se pur
juventino doc.
In casa sua si respirava sempre
un profumo, alle volte stucchevole, di oggetti antichi misto forse ad incensi
provenienti dal continente asiatico. Infatti lui e sua moglie erano, e da quel
che so lo sono ancora, dei viaggiatori incalliti.
Conosceva praticamente tutto il
mondo e quell’estate, ad agosto, sarebbe andato tre settimane circa in
Australia, dove aveva a sua volta fissato oltre dieci voli aerei per potersi
spostare velocemente e così visitare il più possibile il paese.
Quando, magari di lunedì o
martedì, mi presentavo nel primo afosissimo pomeriggio, prima di tutto mi
faceva accomodare nel soppalco in legno che aveva in salotto e che usava per le
sue lezioni, mi faceva raccontare cosa avevo combinato di interessante durante
il week end al mare, strabiliandosi per i litri di mojito che insieme ai miei
compagni d’avventura tracannavo alla sera, e poi, acceso al massimo un piccolo ventilatore,
iniziava a riguardarmi gli esercizi che mi aveva assegnato per casa e quindi
alla loro correzione.
Non ho mai visto il professor Chietti in maglietta a maniche corte, nonostante l’afa che regnava sia fuori che dentro casa sua. Indossava sempre una camicia con le maniche arricciate che a me ricordava molto quelle che nei film portano le guide dei safari in Africa. Pantalone colorato e scarpa da passeggio. Occhio, né elegante né da ginnastica ma tipo da trekking basse, proprio da persona che ha il mondo intero nel cuore e che ha bisogno di calzature comode e pratiche anche per girare per casa.
Lo vedo spesso a giro la sera, in
particolare in Piazza della Sala, e non manco mai di salutarlo. Nonostante, a
causa della mia esagerata ed incessante ansia, avere un debito a scuola sia stato
un dramma, ho un ricordo molto piacevole delle ore passate con il professor
Chietti.
Mi sono affezionato molto a lui
e, se non fosse per la mia incessante pigrizia, andrei spesso a trovarlo.
Lui ad agosto andò in vacanza,
quindi mi dette appuntamento agli inizi di settembre per il ripassone finale
prima dell’esame.
Finalmente potei trasferirmi stabilmente
al mare coi miei e con Giulia a cinque minuti di macchina da casa mia.
Pochi giorni prima di Ferragosto i miei
andarono in Molise, dove mio padre ha un podere.
Io ci sono sempre andato tutte le
santi estati, ma ammetto che da un po’ di tempo mi annoiavo abbastanza lì,
soprattutto perché non c’è movimento e non ho a disposizione miei coetanei con
cui svagarmi.
Decisi quindi di rimanere al mare
con la mia nonna materna, la nonna Loriana, e sinceramente me la spassai alla
grande: lei, non avendo impegni ed orari, chiedeva sempre a me di decidere
quando pranzare e cenare e anche cosa mangiare. La sera, inoltre, potevo
concedermi di tornare molto tardi a casa poiché lei non si svegliava quando
rientravo.
La notte di Ferragosto la
passammo al solito Seven Apple e, una volta usciti, Giulia venne per la prima volta
a dormire a casa mia.
Entrammo di soppiatto e svegliai
mia nonna per avvisarla che Giulia sarebbe rimasta a dormire lì a causa di un
certo problema che mi inventai sul momento e che non ricordo.
Già allora amavo addormentarmi
con lei tra le braccia, nonostante la posizione non fosse comodissima.
Due giorni dopo i miei tornarono a Pistoia e mi chiesero di tornare.
Salutai Giulia la sera del 17 Agosto
sulla spiaggia, seduti su un patino in riva al mare.
Ad un certo punto le si
gonfiarono gli occhi di lacrime e mi abbracciò. È di corporatura fine ed esile,
e in quel momento avvertii ancor di più la sua fragilità.
Tornai a casa, seguii il ripassone
organizzato dal professor Chietti, abbronzato più che mai dopo il soggiorno in
Australia, e sostenni l’esame, prima la parte scritta e poi quella orale. Presi
sei meno allo scritto e sette all’orale, un ottimo risultato per me.
Tornai a casa quasi all’ora di
cena, preparai la mia solita valigia e scappai al mare da Giulia.
Se ci ripenso mi dispiace di aver
dato così poca considerazione ai miei genitori, anche perché avevano sofferto
l’attesa dell’esame insieme a me, ma l’unica cosa che desideravo in quel
momento di spensieratezza era rivedere Giulia che, dopo aver sostenuto il suo
esame di riparazione, era tornata per qualche giorno in Versilia da sola.
Con quelle ventiquattr’ore
passate insieme a Pietrasanta, si concluse definitivamente l’estate ed ebbe
inizio, come previsto, il periodo più complicato per due innamorati separati da
trecentocinquanta chilometri di strada, in particolar modo per via della scuola
e dell’imminente esame di maturità che a grandi falcate si avvicinava.
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