"Le mie idee, uno schermo e una tastiera sono per me come i capelli di Sansone. Privatemene e diventerò indifeso".

Opinioni che diventano reati e stupro della lingua Italian: il mondo secondo David Parenzo

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La questione delle idee passa in secondo piano. È invece di primaria importanza l’aspetto della libertà di pensiero e della possibilità che tutti noi abbiamo di raccontare la verità in libertà. Parentesi: comunque la si voglia mettere, del relativismo sempre vi sarà, nel senso che ognuno si ritiene depositario di una propria verità, di un proprio senso della giustizia e di una particolare forma di onestà intellettuale. È una delle parti poco simpatiche del diritto d’espressione del proprio pensiero con cui ci troviamo a convivere. Ratzinger si scagliava contro la così detta dittatura del relativismo, e aveva ragione. Ma lui era lui, un fine intellettuale e filosofo che in quel periodo ricopriva il delicato ruolo di Vescovo di Roma. Il legislatore italiano, al contrario, mai potrebbe intervenire nell’ordinamento inserendo una qualsivoglia forma di limitazione della libertà d’espressione a causa dell’esistenza di una presunta verità assoluta, dunque non relativizzabile. E noi tutti dovremmo avere il buon senso di non imboccare questa pericolosa strada che tende a limitare sempre più il diritto alla parola del dissidente, poiché una volta che è stata aperta la breccia, si sa dove si inizia ma non dove si finisce. Beh, le opinioni non sono reati, a meno che non inducano a commetterne uno. Esempio banale: essere fascisti non è reato. Lavorare alla riesumazione del partito fascista invece lo è, poiché quest’ultima attività comporta una seria di rischi per il così detto assetto democratico del paese. I pensatori impegnati, però, questo non riescono a capirlo, e annichiliscono l’avversario ideologico affibbiandogli etichette che non rispondono né alla realtà, né al significato che la Treccani gli dà.

Chi si è sintonizzato su Radio24 ha potuto assistitere alla solita bagarre allucinante durante la trasmissione radiofonica La Zanzara, durante la quale David Parenzo accusava Paolo Bargiggia di essersi macchiato di razzismo per aver scritto su Twitter, all’indomani della vittoria della Francia sulla Croazia: “Una nazionale  completamente autoctona, un popolo di 4 milioni di abitanti, identitario, fiero e sovranità: la Croazia, contro un melting pot di razze e religioni, dove il concetto di nazione e Patria è piuttosto relativo: la Francia. Io sto con la Croazia”. Il caro Bargiggia, come è facilmente intuibile dalla lettura del suo tweet, si è limitato ad apprezzare e a tifare una squadra per certe caratteristiche che esulano dall’assetto calcistico. A lui piace una nazionale che, coi suoi giocatori, ricalca fedelmente l’assetto culturale del paese facendo scendere in campo tutti giocatori originari di quella terra. Preferisce queste caratteristiche rispetto ad altre derivanti, come nel caso della Francia, dall’incontro di persone provenienti da luoghi diversi e, di conseguenza, portatrici di culture altrettanto diverse. Una squadra così composta rappresenta un paese composto a sua volta nel medesimo modo e fondato sul famigerato multiculturalismo. Multiculturalismo che, a differenza della multiculturalità, consiste nella forzata convivenza di più culture in uno stesso spazio. Proprio come accade ad esempio a Chapelle-Pajol, quartiere parigino nel quale probabilmente Parenzo non metterà mai piede ma dove una giornalista de Le Parisien, Cécile Beaulieu, ha condotto un servizio: “Centinaia di metri quadrati di asfalto abbandonati a soli uomini, dove le donne non sono più accettate”, racconta. “Gli è proibito entrare nei caffè, nei bar e nei ristoranti e non possono stare sui marciapiedi vicino alla fermata della metro e nelle piazze”. E, per rimanere nella zona di Parigi, non ci troviamo distanti dalla banlieu di Saint-Denis ove a marzo un centinaio di immigrati clandestini di cui molti islamici hanno fatto irruzione nella basilica di Saint-Denis interrompendo la messa per protestare contro la legge sull’immigrazione. Ecco, a Bargiggia una squadra di calcio che rappresenta questo genere di civiltà (se così può esser definita) fa cagare e preferisce una squadra rappresentante un paese che tenta strenuamente ancora di difendere una propria identità, una propria cultura, tradizioni e memorie che così non andranno disperse dal sorriso ebete che l’intellettualume politically correct mostra ogni qualvolta vengano avanzate le proposte suicide travestite da buoni sentimenti.

È lecito pensarla così? Bargiggia, come chiunque di noi, può esprimere su di un social network tale opinione oppure gli deve essere vietato poiché eretico? Non affrettatevi a dare risposta positiva. E David Parenzo, con la sua perenne faziosità, incarna questa illiberalità. Prendete il caso di Forza Nuova: si tratta di un partito che è legittimato ad esistere e a partecipare alle elezioni politiche e amministrative, ma nonostante questo il signor Parenzo esprime continuamente il desiderio di vederlo sciolto. La magistratura è presente e, ove necessario, interviene. È puro buon senso, è solo logica. Ma a lui non basta, poiché nel suo mondo ideale non esiste una vera e compiuta libertà d’espressione: lui formula accuse ed emette sentenze. Al nostro Bargiggia ha detto che le sue parole sono frutto di razzismo. Ed è così che inizia il processo al massacro dell’opinione dissidente. La si prende, la si estrapola da un discorso ben più ampio e ben più complesso e la si inserisce arbitrariamente nel perimetro della irricevibilità. Alternativamente, si può utilizzare la categoria del razzismo o del fascismo o della misoginia o di altre menate simili.
Consultassimo la Treccani, apprenderemmo che tali termini hanno un significato che niente ha a che vedere coi comportamenti condannati dal signor Parenzo. Una mela non è una pera. Essere contrari al concetto di multiculturalismo non significa nutrire sentimenti razzisti. E questo stupro continuo della lingua italiana fa ancora più impressione se a perpetrarlo sono personcine come l’amico David che si riempiono costantemente la bocca di cultura, di sapere, di conoscenza, tacciando mezzo mondo di ignoranza e ostilità al progresso. Non si stancano mai di sguazzare nel consueto, di pascolare nei prati del conformismo iper-corretto. Sorge il dubbio che non siano in grado di elevarsi al di sopra di queste abitudini melense e pallose.


Siccome ci credono davvero, ritengono d’essere dei giganti del pensiero sobbarcati dal peso del destino di questo mondo. E allora, ogni tre per due, querelano. Parenzo, a sentir lui, querela per qualsiasi cosa. Talvolta afferma di doverci riflettere su o altre volte ancora chiama in diretta il suo avvocato e, in vivavoce, terrorizza il suo interlocutore. Tanto, dice lui, la sua famiglia è composta da avvocati e quindi non dovrà pagare alcuna parcella. Ogni tanto querela perché si sente diffamato: è un suo diritto, nessuno glielo nega. Altre volte querela perché ritiene che qualcuno abbia commesso un reato, e il caso che gli fa maggiormente gola è la querela minacciata per istigazione all’odio razziale. Sai che figata assicurare alla legge un razzista. Batman che interviene in quel merdaio di Gotham, al confronto, è un dilettante. “Ex legge Mancino”, come piace dire a lui, con quel ”ex” che fa tanto professore universitario di giurisprudenza, profondo conoscitore dei principi che muovono questa repubblica, sapiente intellettuale delle questioni di mondo, latinista in via d’estinzione. Ma figuratevi se la matrice di tutta questa caciara è la ricerca della giustizia che trionfa. Il motivo è banale e grottesco: intimidire il dirimpettaio, annichilire la coscienza altrui, impaurire un poveraccio che all’idea di sorbirsi un processo preferisce ritirare le proprie opinioni. La divulgazione massiccia di questo barbaro modo di intendere il confronto con gli altri e l’espressione del proprio pensiero ha condotto le coscienze all’ammasso: Bargiggia è tra i pochi che ha promesso querela a chi lo ha tacciato di razzismo, poiché si tratta di un’accusa infamante oltreché infondata. 

Ma la stragrande maggioranza di coloro cui viene appeso quel cartello al collo tace e china il capo: il mainstream fa talmente tanto casino ed esprime talmente tanta arroganza che viene solo voglia di chiudersi in casa e far finta di niente. Siatene certi: per il contenuto di questo articolo ci meriteremo le solite ridondanti accuse fatteci pervenire dagli intelligentoni nostrani. Ben vengano, le accettiamo sorridendo. Il loro razzismo, per noi, è una medaglia al valore da appendere al petto. Altezza cuore.

Lorenzo Zuppini

Il Primato Nazionale - 23 luglio 2018


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Sudafrica, il genocidio dei bianchi: tra violenze ed espropriazioni di terre

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Il Sudafrica di Nelson Mandela si è trasformato in un incubo per i cittadini bianchi. Attorno a marzo, la minoranza dei proprietari terrieri bianchi potrebbe assistere all’espropriazione delle loro terre senza ricevere alcun indennizzo. Loro sono proprietari di circa il 72% delle terre pur rappresentando l’8% della popolazione totale. Il modello strategico da cui trarre spunto sembra quello dello Zimbabwe ove, a fine anni ’90, il governo decise di distribuire le terre dei bianchi alla popolazione nera. I risultati furono catastrofici per l’economia del paese, il quale passò da essere considerato il granaio di tutta l’Africa a ricorrere agli aiuti del Programma alimentare mondiale. Gli agricoltori esperti e specializzati vennero accantonati pensando così di far trionfare il famigerato principio d’uguaglianza, senza tener però conto di un altro principio che è quello di realtà e che avrebbe dovuto indurre il governo zimbabwese a capire che le derrate agricole che riusciva ad esportare non piovevano dal cielo, bensì dal duro lavoro di fasce di lavoratori che si erano dimostrati capaci e volenterosi. I loro fratelli neri, a quanto pare, lo erano di meno.

E il clima in cui si trova a vivere la minoranza bianca nel paese dell’apartheid e di Mandela è altrettanto disastrosa. Afriforum, gruppo per i diritti civili, ha dichiarato che lo scorso anno la parte bianca del paese ha subito 423 aggressioni e 82 omicidi. A marzo 2018 contavamo 109 attacchi contro la popolazione bianca di cui 15 culminati in omicidi. Il governo, coerentemente con la politica di sequestro delle terre, ha deciso di negare totalmente la matrice razziale di questi attacchi e dal 2008 non rilascia più alcuna statistica su questi omicidi. Nell’arco di un anno, dal 2016 al 2017, la popolazione bianca in Sudafrica è diminuita passando da 4,52 milioni a 4,49 milioni. Ian Cameron, responsabile per la sicurezza di Afriforum, ha dichiarato che “le aree rurali dei bianchi sono pena di una guerra criminale” che spesso sfocia in orrende torture effettuate con fiamme ossidriche e acqua bollente. Per l’appunto, Julius Malema, deputato e leader del partito marxista Combattenti della libertà economica, si è detto pronto a “tagliare la gola ai bianchi”.

Il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, dopo aver messo in dubbio la capacità dell’espropriazione delle terre ai bianchi di scaturire effetti positivi, pare aver deciso di ottemperare alle richieste delle frange più estreme e anti-bianche della politica sudafricana che chiedono a gran voce una vendetta nei confronti dei discendenti dei colonizzatori bianchi. L’Onu non se ne interessa e i filantropi de’ noantri tantomeno: alle roboanti dichiarazioni di disponibilità di accogliere un profugo in casa non hanno fatto seguire fatti concreti, quindi togliamoci dalla testa che qualcuno di loro utilizzi il megafono della notorietà per denunciare i crimini subiti dai bianchi. Anche perché si tratta dei soliti intellettuali la cui capacità interpretativa non sa andar oltre le accuse a quei bianchi colonizzatori che pare abbiano affamato il popolo africano. Eppure, insomma, Gino Strada è sempre stato affezionato a tutti i terzi mondi e a tutte le minoranze maltrattate, ma a questo giro niente di niente, mutismo e rassegnazione. Esattamente come per i cristiani che tra il Medio Oriente e l’Africa stanno tecnicamente sparendo. In Nigeria, poi, avvengono massacri ai loro danni con cadenza quotidiana. Però i profughi e gli immigrati che meritano il nostro conforto e le loro magliette rosse sono solo quelli che pregano inginocchiati su di un teppetino col culo per aria. Si direbbe si tratti di priorità, o almeno questo è ciò che suggerisce la logica.

La lente di ingrandimento del mainstream italiano ed europeo non può fermarsi su coloro che non abbiano mai subito le razzie degli sporchi bianchi, tanto meno su coloro che da questi ultimi discendono. La verità è che, come abbiamo già scritto, l’Africa ha problematiche interne che impediscono lo sfruttamento sia delle risorse che il mondo occidentale gli invia, sia – soprattutto – delle proprie risorse, le quali non sono affatto depredate dai paesi della fascia settentrionale del pianeta. I governi africani, soprattutto se si tratta di regimi dispotici, avrebbero la capacità e lo spazio necessario per rifiutare lo sfruttamento di alcune risorse da parte di altri paesi. Nessuno di coloro che millanta queste razzie spiega con criterio in cosa consista concretamente. Utilizzo di violenza? Di minacce? Siamo forse dei ricattatori? Costoro dipingono il continente africano e i suoi cittadini come un ammasso di deficienti privi della capacità di difendere il proprio territorio dall’invasore europeo. I problemi, in realtà, sono interni, e il più insidioso si chiama corruzione. La presenza di paesi occidentali in Africa dovrebbe esser vista con allegria, poiché è indubbio che dalle nostre tecnologie e dalla nostra scienza loro abbiano solo da imparare. Per fare un paragone, e trasferendoci sul piano militare, sarebbe come stupirsi del fatto che siano le nostre forze armate ad addestrare quelle libiche e non il contrario.


A proposito di Libia: gli invasionisti nostrani dovrebbero stracciarsi le vesti per quella sciagurata guerra mossa contro Gheddafi da Sarcozy e il premio nobel Obama denominata Primavera araba, che poi ha soltanto condotto il Nord Africa e metà Medio Oriente nell’inferno della guerra civile e dell’estremismo islamico. Guarda caso, però, nel 2011 erano proprio loro a fare il tifo per quella guerra umanitaria perché vedevano all’orizzonte, ciechi come talpe, un nuovo futuro per quelle terre che tanto amano. Un disastro totale, come tutto ciò che le loro menti illuminate partoriscono, e i gran casini che ne sono derivati se li deve sorbire la parte del paese che lor signori definiscono populista e razzista. O abusano di negroni fin da metà pomeriggio (e il nome del cocktail non può esser casuale), oppure sono delle insopportabili facce toste.

Lorenzo Zuppini

Il Primato Nazionale - 13 luglio 2018
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Delirio Serracchiani: "A Pontida un nuovo processo di Norimberga"

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Nel nono girone dell’inferno, Dante inseriva i traditori. È per questo motivo che la signora Debora Serracchiani del Partito democratico, frugando forse nelle sue memorie scolastiche, affermò che il reato commesso da un immigrato risulta più odioso rispetto a quello commesso da un italiano. E Dante non risulta fosse un razzista. Noi però sopravvalutammo la Serracchiani, ritenendo che anche una persona di quell’area politica riuscisse a liberarsi dalle catene della faziosità tornando nel perimetro della ragionevolezza. Pie illusioni, appunto.

Ha esordito all’indomani del ritrovo leghista a Pontida affermando che “Pontida non è ancora Norimberga ma può diventarlo, se la lega prosegue sul crinale del nazionalismo”. Sorgono dubbi: Pontida è un comune italiano in provincia di Bergamo mentre Norimberga è una città nel nord della Baviera. Nessun parallelismo circa la geografia, quindi. Sorge spontaneo anche il dubbio che la signora Serracchiani intendesse riferirsi al processo avvenuto a Norimberga dopo il secondo conflitto mondiale, creato ad hoc per processare e condannare i gerarchi nazisti, o quantomeno quelli che non erano fuggiti o non si erano suicidati. A Pontida, al contrario, non sono mai stati imbastiti processi relativi a crimini di guerra e contro l’umanità: lì ci si limita ad ascoltare alcuni signori che parlano da un palco e ad esultare per i concetti espressi. Persino sul piano storico e delle consuetudini questo parallelismo risulta inconcepibile. A meno che la suddetta signora non intendesse dire un giorno, chissà quando, la nuova resistenza europea al pericoloso regime dei sovranisti potrebbe imbastire in quel prato un tribunale della pace con lo scopo di processare la destra italiana per essere stata troppo di destra, e il capo di imputazione sarebbe non crimini contro l’umanità ma crimini contro la sinistra: un furto di massa dei suoi consensi.

Esegesi a parte. Risulta paradossale quanto detto dalla signora Serracchiani per una questione terminologica e per una questione concettuale più ampia. Il nazionalismo è quell’insieme di idee che sostengono l’importanza della identità nazionale e della Nazione, intesa come collettività depositaria di valori, tradizioni e cultura comune. Non è chiaro come mai un italiano dovrebbe ritenere pericoloso quell’approccio che mira ad esaltare questo genere di valori. Riteniamo che il collegamento più probabile effettuato dalla Serracchiani si sia basato sulle prime lettere che i termini nazionalismo e nazismo hanno in comune: evidentemente non è andata oltre. Appare ancor più grottesco tale ragionamento alla luce di alcuni fatti assolutamente noti e oggettivi: a Pontida, durante l’ultimo ritrovo della Lega, sventolava la bandiera bianca e blu di Israele; Sebastian Kurz afferma che i suoi conterranei devono prendersi le loro responsabilità per la Shoah, confermando il proprio appoggio a Israele; l’Ungheria di Orban si è schierata contro le operazioni di etichettatura dei prodotti israeliani adottati dall’Unione europea; la Polonia si è prodigata affinché il parlamento tornasse indietro nella sua decisione di assoluzione dai crimini dell’Olocausto; e paesi come la Romania, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e i sopracitati meditano di trasferire le proprie ambasciate a Gerusalemme. E questa non vuole essere un’analisi sul conflitto arabo-israeliano, bensì una mera constatazione della realtà che ci circonda: le destre europee che vengono tacciate dai soloni come la Serracchiani di razzismo e simpatie verso un certo passato in realtà si schierano ogni giorno di più dalla parte di Israele e degli ebrei.

Fu Prodi, nel 2004, a bloccare un’indagine sul montante e pericoloso antisemitismo in Italia: l’islam ne sarebbe uscito a pezzi e definitivamente condannato come ideologia pesantemente antisemita. Gli ebrei di Francia si stanno rifugiando in una nuova diaspora verso Israele per i medesimi motivi per i quali oggi in certi paesi europei è pericoloso girare con la kippah: i loro persecutori non sono gli skinhead o i forzanovisti di cui La Repubblica ama interessarsi, bensì gli immigrati afro-islamici che non vedono di buon occhio né gli ebrei né i cristiani.
Purtroppo i cristiani della Nigeria sono alla mercé di chiunque provi odio nei loro confronti, e dato che questi sono tempi di frignacciume trendy per chi muore affogato nel Mediterraneo, è il caso di ricordare che dall’inizio dell’anno sono stati massacrati seimila cristiani in Nigeria. Il vescovo Peter Iornzuul Adoboh ha parlato di “islamizzazione della fascia centrale del paese”. Nessuna catena umanitaria, da Gino Strada e Saviano, si è formata per tentare di salvare quel poco di cristianità che eroicamente resiste in Africa e in Medio Oriente. Va anche ricordato alle Serracchiani di cui questa Italia purtroppo abbonda che tendenzialmente accade a Milano, e non a Pontida, che durante le manifestazioni per le rivendicazioni della comunità islamica la bandiera di Israele venga utilizzata come cesso ove urinare. Non ricordiamo eventi riguardanti la Lega e i suoi riti e i suoi ritrovi che siano saliti alle cronache per i forte ed evidenti contenuti antisemiti. E dunque, in che modo e per quale motivo Pontida dovrebbe essere trasformata in una nuova Norimberga? Quali colli la signora Serrachiani vuol vedere allungarsi?

Lorenzo Zuppini

Il Primato Nazionale - 4 luglio 2018
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In Svezia niente più sesso "senza consenso". Ma è una follia femminista

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Scrive Nietzsche che l’amore è l’eterno odio tra i sessi, e l’esperienza comune insegna che non esistono rapporti affettivi privi di violenza quantomeno mentale o verbale. Non esageriamo se consideriamo – per legittima difesa – una certa interpretazione del sesso femminile come un nostro nemico, riferendoci ovviamente alla compagine femminista che cavalca l’onda del puritanesimo sessuofobico esportato dagli Stati Uniti e divenuto ideologia dominante – tra le già tante dominanti cazzate di cui si riempiono le pagine dei giornaloni e le bocce dei pensatori impegnati – dopo i fatti di Harvey Weinstein. La cronaca che ci interessa riguarda una legge che il governo svedese ha approvato a fine maggio e di cui già parlò allora sul Primato Nicola Mattei. Tale legge è in vigore ufficialmente da ieri, e il suo contenuto è sintetizzabile nelle righe pubblicate sul sito del governo: “Se una persona vuole impegnarsi in attività sessuali con qualcuno che rimane inattivo o dà segnali ambigui, dovrà scoprire se l’altra persona è disponibile”. Modellato sui casi concreti che tutti noi abbiamo più o meno vissuto, ciò consiste nel fatto che adesso un’accusa di violenza sessuale potrà reggersi solamente sull’assenza di un consenso pieno, diretto e urlato a squarcia gola. Il governo garantisce sornione che questa legge manderà un segnale forte: non nutriamo dubbi in tal senso, e la patta dei pantaloni rimarrà serrata.

La questione più preoccupante, in punta di diritto, riguarda la concreta applicabilità di questa norma. Nutriamo il timore fondato che questa sia una legge che provocherà una sorta di macelleria legalizzata, poiché, come ha fatto notare l’Ordine degli avvocati, questo testo non tipicizza le “nuove” forme di violenza e le modalità per esprimere esplicitamente e indiscutibilmente il proprio consenso, lasciando così un enorme margine di discrezionalità ai giudici nel far indossare questo nuovo vestito ad una miriade di manichini nuovi. Negli Stati Uniti già sono pronti dei moduli che i partner possono compilare così da poterli poi sventole di fronte al giudice nel caso in cui uno dei due decida di lamentare violenza sessuale. In tal caso, dopo aver compilato l’apposito modulo che magari prevederà anche la lista di fantasie sessuali cui si vuol dare sfogo, si può dormire su sette cuscini essendo certi che nessuna mitomane – pseudo attrice o no – possa tentare di incastrarci per via giudiziaria. Ottimo. E il resto? Il piacere della conquista, della caccia, del corteggiamento, delle insistenze, delle ripetute telefonate, insomma di quei comportamenti che fino ad oggi erano ritenuti ovvii e segmento fondamentale del rapporto amoroso e sessuale tra persone, che fine farà tutto ciò? Fondamentalmente andrà tutto in cavalleria, visto l’andazzo oltremodo perbenista intrapreso dall’opinione pubblica maggioritaria appiattitasi, come in molti altri casi, su posizioni idiote e politicamente corrette.

Tanto per tornare su questioni note: non è fondamentale sapere, per noi opinionisti, se Asia Argento sia stata vittima di violenza sessuale o no, piuttosto lo è la possibilità per chiunque di esprimere dubbi sulla sua vicenda e sulle sue posizioni. Manca questo passaggio, la libertà di espressione del libero pensiero, la libertà di critica, la libertà di dissentire dalla maggioranza cantando contro il coro. Si tratta di quella tecnica sottile e insondabile per la quale, se ti scosti dalla grande opinione sorridente e civile, diventi automaticamente complice dei presunti cattivi. E in questo caso si tratta di uomini che usano violenza nei confronti di donne, non so se è chiara la portata della questione complessiva. E dunque, dai limiti imposti al libero pensiero siamo giunti ai limiti imposti ai movimenti e ai gesti, ovvero a quei movimenti e a quei gesti talmente noti e talmente presenti nelle abitudini di tutti noi che in un batter d’occhio si sono trasformati in pericolose minacce: per chi li riceve – la solita donna vittime di soprusi dell’uomo bianco – e per chi li pone in essere, cioè noi baldi giovanotti. L’attestato di volontaria partecipazione all’atto sessuale è un primo ed enorme passo verso la robotizzazione del sesso, il quale diverrà mero atto indirizzato all’ottenimento di un orgasmo, cessando di essere un cammino progressivo che delle persone compiono assieme ma quasi mai alla medesima velocità, necessitando quindi che uno dei due trascini l’altro sebbene quest’ultimo si presenti meno voglioso, meno desideroso ma in ogni caso complice di quel feeling intimo e singolare che lega ogni persona con chi gli sta accanto. La spersonalizzazione di tutto quanto, la numerazione anche delle azioni più personali e intime.

Vi è poi un concentramento nelle mani dello Stato – nel caso specifico nelle mani del potere giudiziario – del potere di valutare se il famoso consenso vi sia stato oppure no, inquadrando entro i rigidi schemi di una legge una fattispecie concreta che non può esservi prigioniera, tanto è spontanea e mutevole di volta in volta. Lo capiranno da uno sguardo? Dai rumori emessi durante il rapporto? Chi lo sa, ma certo è che l’interpretazione che i giudici si troveranno a dare dovrà essere restrittiva per non rischiare di andare nel senso opposto della legge stessa: intimorire e indurre chicchessia a non usare la benché minima dose di forza. Biancaneve, è evidente, fu vittima di violenza brutale: quel porco del principe la baciò durante il suo sonno e lei non poté prestare consenso di alcun tipo. E che pazzi quei sette nani a vivere nella medesima casa con una donna sola: come nei grattacieli americani nessun uomo vuol più salire se solo con una donna, poiché in cento piani tutto può succedere, loro sette mai avrebbero dovuto abitarci assieme. Ma quando si decideranno a fare una legge sullo stupro della nostra libido?

Lorenzo Zuppini


Il Primato Nazionale - 2 luglio 2018

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/in-svezia-niente-piu-sesso-senza-consenso-ma-e-una-follia-femminista-88640/
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